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Milan, Donadoni fa a pezzi Fonseca: "Leao-Hernandez, un pessimo segnale"

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"Un brutto segnale per il Milan". Parla da ex ct della Nazionale e mister di grande esperienza, Roberto Donadoni, ma forse anche da grande ex rossonero che assiste con sofferenza alle tribolazioni del Diavolo in questo avvio di stagione. Con la pausa per la Nations League, la mente di molti tifosi è rimasta all'increscioso episodio dell'Olimpico quando Rafa Leao e Theo Hernandez, tenuti in panchina a Paulo Fonseca e fatti entrare solo sul 2-1 a favore della Lazio, dopo aver imbastito e portato a termine alla grande l'azione del pari 2-2 (segnato proprio da Leao) hanno deciso di non partecipare polemicamente al cooling break. Mentre tutti i milanisti erano a rapporto dall'allenatore, il portoghese e il francese, due dei (pochi) senatori della squadra, erano rimasti dall'altra parte del campo, da soli, le mani sui fianchi e uno sguardo che sapeva di sfida all'ex tecnico del Lille, già a rischio esonero. 

"Quanto abbiamo visto con Leao e Theo non è stato edificante e mi spiace molto. Bisogna saper accettare e condividere le cose, bisogna sapere che un gruppo è fatto di tanti individui e tutti quanti devono voler solo il bene della squadra. Quando capitano questi episodi sono veramente dei brutti segnali", ha sottolineato Donadoni, intervistato da Radio anch'io Sport su Radio 1 Rai. 

 

 

 

Con il Milan, Donadoni ha giocato un totale di 390 partite tra 1986 e 1999, vincendo praticamente tutto da pilastro sia nella dinastia di Arrigo Sacchi sia in quella di Fabio Capello. Insomma, è uno che sa come dietro a qualsiasi squadra vincente ci sia sempre uno spogliatoi di granito. E lo stesso, forse, vale anche per gli azzurri. Eliminati con vergogna agli Europei lo scorso giugno e vincenti in casa della Francia 3-1 venerdì sera, con una prestazione scintillante. 

 "Dall'Europeo alla partita dell'altra sera a Parigi sono cambiate un po' di cose, anche a livello mentale - conferma Donadoni -. Quando vai incontro a una figuraccia come agli Europei, c'è voglia di riscatto. La risposta dell'altra sera è stata ottima. Come ho provato sulla mia pelle da ct, quando si arriva a fare queste competizioni a fine stagione come gli Europei, è chiaro che la condizione, sia fisica che mentale, incida tantissimo. Le energie fisiche erano al lumicino e anche sotto il profilo mentale non c'è stata la reazione adeguata. Adesso si riparte: a Parigi, dopo la partenza a handicap, si è vista una bella reazione con chiarezza di idee e di volontà. Il risultato non ha fatto una piega". 

 

 

 

"Chi mi ha sorpreso di più tra i giocatori dell'altra sera? I giovani, coloro che hanno esordito dall'inizio, hanno dato subito una risposta positiva, soprattutto di freschezza, questa è la cosa più importante. In Nazionale - ha proseguito - è fondamentale riuscire a creare un certo tipo di ambiente: i giocatori si vedono saltuariamente e creare all'interno del gruppo questa alchimia diventa decisivo per arrivare a certi risultati. La Nazionale deve essere vissuta in questo modo: spesso e volentieri si avvertiva quasi l'impegno in Nazionale come un qualcosa di troppo e di più, non può essere così. Quando si indossa la maglia azzurra, si deve sentire sempre la pelle d'oca. Questi giovani hanno questa caratteristica". "Israele? Impegno non così proibitivo, però sono quelle partite insidiose in cui bisogna dare una risposta di continuità".

Sui pochi italiani in Serie A e sul poco spazio concesso ai giovani Donadoni ha le idee chiare: "Deve cambiare la politica all'interno dei club. Ai miei tempi c'erano un massimo di tre stranieri, nel nostro Milan avevamo i tre olandesi con cui qualcosa abbiamo vinto, e poi tutto il resto della squadra era italiano. Ora è esattamente il contrario. Bisogna avere la voglia di investire sui vivai, sui giovani e dar loro la possibilità di giocare. Ci sono squadre con ottimi vivai, l'Atalanta è una di queste. Ma anche le Primavere ormai hanno in squadra 7-8 stranieri". 

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