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Milan, ammutinamento contro Paulo Fonseca: il retroscena, per il mister si mette malissimo

Claudio Savelli
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Sosta Nazionali? Processo al Milan. Era successo a settembre, succede di nuovo ora. Verrebbe quasi da pensare che usino la pausa come cassa di risonanza visto che chi alza il polverone non rimette piede a Milanello l’indomani ma va dritto in ritiro con la propria selezione. Dopo il famoso cooling break a cui non avevano partecipato Theo e Leao, derubricato dalla dirigenza a «una cosa normale», è arrivata l’anarchia del Franchi sui tiri dal dischetto: un rigorista ignorato si era già visto, un rigorista ignorato due volte nella stessa partita no. E il fatto che i due rigori siano stati sbagliati è la conferma che quanto fatto da Theo e compagni è grave. Molto grave. Così grave da essere sottolineato dall’allenatore subito dopo la gara, altra cosa sbagliata e... grave.

Grave perché Fonseca, dicendo di essere “incazzato” perché «il rigorista era Pulisic» e aggiungendo «di non sapere perché hanno fatto di testa loro», denuda se stesso prima che i calciatori. Rivela che la sua leadership è in discussione. È il classico panno che va lavato in casa, la domanda su cui bisogna glissare o alla quale bisogna rispondere con una bugia bianca: caro Fonseca, anche tu, aiutati che dio (non Ibrahimovic, beniniteso) ti aiuta. Sarri, bloccato da settimane come sostituto, lo farebbe.

PAROLE VELENOSE
Con quelle parole velenose, il mister portoghese alimenta quella che a questo punto è una guerra fredda con il gruppo. O meglio, con un gruppetto, perché non tutti i rossoneri remano in direzione ostinata e contraria. Sono i leader a farlo. I presunti leader.

Il Milan ha dei 26/27enni nel pieno della carriera e in società da anni che si comportano come dei ragazzini alla prima stagione non tanto nel Milan ma proprio nel calcio professionistico. Theo Hernandez, che al Franchi vestiva la fascia di capitano, non ascolta una beata indicazione del mister, non si impegna in fase difensiva (se non nel derby: troppo facile) perché lui, secondo lui, è bravo ad attaccare, e come ciliegina sulla torta si fa espellere a fine gara per proteste. Come a voler lasciare un problema in più al tecnico. Si parla troppo di Leao, che al Franchi ha fatto meglio del solito?

 

Allora si notino anche gli altri leaderini, ad esempio Tomori che non solo commette un disastro difensivo via l’altro, inscena una sorta di palla a due cestistica per consegnare il pallone del secondo rigore all’amico Abraham. Il quale, una volta conquistato il posto da titolare, si è allineato all’andazzo generale: anarchia.

Quando Pulisic gli ha sommessamente fatto notare che avrebbe dovuto tirare lui, l’inglese gli ha detto «no, tiro io», nel tipico protagonismo del campetto di provincia. L’americano peraltro è di gran lunga il miglior rossonero di questo inizio di stagione, non solo per gol e assist (6 e 2 in 9 partite tra campionato e Champions) ma per impegno, dedizione e affidabilità tattica (si sobbarca un lavoro da mezzala, per chi non l’avesse notato).

I compagni peccano di egoismo e anche di poca intelligenza calcistica perché non si accorgono dello stato di forma di un compagno. E questo dimostra che quanto svelato da Fonseca nella conferenza pre-Fiorentina (anche qui, parole da rivedere) è vero: il Milan era abituato a ragionare individualmente.

E la dirigenza in tutto questo che fa? Niente. E poi dirà che avrà fatto tutto il necessario. Ibrahimovic stavolta era presente (come pure Furlani e Moncada, ma sembra che la voce debba essere solo quella dello svedese). Considerando le scene e la difficoltà di Fonseca nel farsi capire, era il caso di intervenire in pubblico, piuttosto che mandarci Gabbia, che non è nemmeno uno dei cinque capitani designati. È in questi casi che si vede di che pasta è fatto un dirigente perché non ha tempo di preparare slogan ma deve basarsi su fatti realmente accaduti sotto gli occhi suoi e di tutti i tifosi del Milan.

 

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