Difficilmente una finale è ingiusta. Chi ci arriva ha sempre qualche merito. Poi però ci sono finali sacrosante come quella tra Psg e Inter. Entrambe hanno dovuto affrontare un percorso in salita, senza favori del sorteggio. Il Psg nella prima fase si era beccato Arsenal, Psv, Atletico, Bayern e Manchester City, oltre a Stoccarda, Salisburgo e Girona. Da nessuna fascia aveva pescato bene. Dopo un inizio stentato, con una sola vittoria e tre sconfitte nelle prime cinque partite, aveva le spalle al muro ed è lì che è venuta fuori la qualità di questa squadra: tre vittorie nelle ultime tre, tra le quali il City, e qualificazione ai playoff strappata da quindicesima in classifica. Dopo aver strapazzato il Brest con un 10-0 complessivo, c’era da affrontare il Liverpool, primo nella prima fase e già virtualmente sicuro della vittoria della Premier, quindi riposato e concentrato solo sulla Champions. Ma Kvara era ormai nei meccanismi e Donnarumma entrato nello stato di grazia attuale: para due rigori al Liverpool, di tutto all’Aston Villa e di più all’Arsenal. Ed eccoci qui.
Superando un trittico di squadre inglesi, Luis Enrique riporta il calcio alle sue origini in cui talento, tecnica e organizzazione battono fisicità ed esperienza. Giustamente a chi gli faceva notare la supremazia sulla Premier League, ha risposto con una domanda: «Non eravamo la Farmers League (il campionato degli agricoltori, ndr)?». Si sta prendendo la rivincita su chi pensava fosse andato al Psg perché in Inghilterra non lo voleva nessuno, e quella era l’unica altra società con i soldi necessari per fare il calcio che desiderava. È vero che ne ha fatti spendere parecchi (700 milioni in cartellini in due anni a fronte di 340 incassati) ma il punto è “come” li ha fatti spendere, ovvero al contrario che in passato: non più per le figurine ma per giocatori veri, da allenare e migliorare. Anche la squadra nerazzurra ha affrontato un percorso tortuoso. Aveva il City quando ancora era il City, poi l’Arsenal e il Bayer Leverkusen fuori casa. Ad ammorbidire il tragitto è stato il Lipsia che sembrava fastidioso ma si è poi rivelato un flop, ma il Monaco era in forma ed è stato asfaltato.
Fabio Capello ad alzo zero su Inzaghi: "Non lo capisco"
Il duello a distanza tra Fabio Capello e Simone Inzaghi prosegue. E dopo il primo round avvenuto già subito dopo ...Hanno comunque ampiamente compensato quarti e semifinali con Bayern e Barcellona incontrate nel momento migliore per loro e peggiore per l’Inter. Sono due eliminatorie da cui i nerazzurri estraggono la consapevolezza di essere a quel livello anche con diversi giocatori a mezzo servizio (la pianificazione per averli al top al 31 maggio è già scattata) e di conoscere già il piano tattico necessario. Perché nel Psg c’è un po’ del pressing del Bayern e un po’ del ritmo qualitativo del Barcellona. C’è più coesione e senso di insieme, per questo l’Inter dovrà mettersi in testa che servirà un’altra folle impresa.
Il bello di questa finale è che rende giustizia allo sforzo di entrambe le società che fanno cose diverse ma con la stessa fiducia nel progetto. Il Psg ha avuto coraggio nel liberarsi definitivamente delle superstar come Mbappé (Donnarumma ha ammesso: «Senza di lui siamo diventati più squadra»), nell’accettare che si sta meglio senza dopo un decennio a provarci con. L’Inter, invece, è uno straordinario esempio del valore della competenza sopra i soldi. Se i parigini con Luis Enrique hanno rimesso il talento al servizio del collettivo in un momento storico in cui era il collettivo a servire il talento; i nerazzurri con Inzaghi hanno riposizionato al centro del villaggio calcistico le idee, il lavoro quotidiano, la cura dei rapporti umani. Tutte virtù primordiali che rendono giustizia al calcio. Ecco perché potremmo assistere alla più avvincente finale dell’ultimo decennio. Di sicuro è una delle più giuste.