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Inter a pezzi e a fine ciclo: cosa succederà adesso

Champions al Psg: 5-0 ai nerazzurri. Tra lacrime e amarezza si consuma il finale di un ciclo di 4 anni. Adesso è ora di cambiare: servono nuovi stimoli e freschezza
di Fabrizio Biasin domenica 1 giugno 2025

3' di lettura

Fa un male cane. Di quelli che spezzano il fiato e non se ne vanno. È un male fetido, infame, persistente, del tutto diverso da quello turco datato 2023, ché a Istanbul eri in qualche modo preparato alla sconfitta e comunque sei tornato a casa con la consolazione della consapevolezza: «All’Ataturk si è perso, ma di sicuro è nato un gruppo vincente».

Ieri no, non hai portato a casa nemmeno la soddisfazione di dire «ok, questa squadra ha perso ma ci riproverà ancora», perché la verità è che l’anno prossimo (e già a partire dall’imminente Mondiale per Club) si chiamerà certamente ancora Inter, ma avrà tutta un’altra faccia e chissà se avrà la forza di arrivare fino in fondo.

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CERCHIO

Ieri a Monaco si è chiuso un cerchio lungo quattro anni, quello dell’Inter inzaghiana che ha fatto vedere un oceano di cose belle, un gioco per lunghi tratti sontuoso, un’unità d’intenti rara, un senso di famiglia affatto scontato negli anni precedenti alla Pinetina, una squadra che ci ha creduto nel bene delle vittorie ma anche nel male delle amarezze, un gruppo che fondamentalmente in questo quadriennio è cambiato molto poco e ha portato risultati di campo insperati, laddove il cammino europeo con relativo grano incassato ha consentito al club di passare dalla Fossa delle Marianne delle perdite all’Everest dei bilanci praticamente in parità. E scusate se è poco.

Un vero e proprio miracolo sportivo che, però, ha il sapore amaro del veleno del crotalo, perché lo scudetto era e resta “solo” uno in quattro anni, perché i secondi posti (due, entrambi al fotofinish) sono più dei primi, e perché i caroselli ultimamente sono andati molto più in scena all’ombra del Vesuvio che in Piazza Duomo a Milano.

E il veleno ti infetta le sinapsi, perché da una parte l’applauso sorge spontaneo (“hanno realmente dato tutto”) ma dall’altro il riflesso involontario è quello di chi vorrebbe trovare a tutti i costi un colpevole per darlo in pasto al popolo e voltare pagina. Ebbene, da queste parti non troverà spazio alcuna crocifissione in sala mensa, perché al netto degli errori dei singoli (giocatori, allenatore, dirigenza, proprietà, tutte le precedenti) la verità è che questo gruppo, tristemente giunto oltre la maturazione, ora sta per cadere a terra come caco a metà ottobre.

MOTIVI

E allora sì, l’Inter cambierà molto e lo farà per tanti motivi, ma soprattutto tre: 1) perché trovare nuovi stimoli dopo un percorso così faticoso e terminato con una mazzata del genere è più difficile che risolvere il cubo di Rubik bendato e senza mani. 2) Perché una società lungimirante (e l’Inter lo è) sa quando è il momento di cambiare rotta, di dare una mescolata alla minestra nella speranza di ritrovarsi con un piatto ancora più prelibato del precedente. 3) Perché questa è una squadra vecchia è quindi realmente esperta, ma ormai troppo vecchia per pensare che a fare la differenza basti l’esperienza.

Ieri si è visto benissimo. E lo si è letto anche sul volto di chi, subito dopo il triplice fischio, ci ha fatto capire che Monaco è una Istanbul al contrario: in terra turca in mezzo alla delusione spuntò un germoglio di rabbia capace da solo di portare il meraviglioso e storico scudetto della Seconda Stella; in Baviera invece è terminato il percorso glorioso di un gruppo composto da persone per bene - prima ancora che calciatori - che è destinato ad essere ricordato. Ed è comunque molto, anzi moltissimo. Grazie di cuore In ter, nonostante tutto.

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