«Troppo difficile pronosticare l’andamento di un derby, va contro ogni regola e lo conferma il fatto che nonostante l’Inter sia stata in finale di Champions e abbia sfiorato lo scudetto, lo scorso anno non abbia mai vinto contro il Milan, rimasto fuori dall’Europa». Walter Zenga qualche derby di Milano lo ha giocato, l’ex portiere dell’Inter ne ha respirato il clima a pieni polmoni, tuffandocisi dentro con quella sua esuberanza che arrivava al cuore dei tifosi.
A quale derby è più affezionato?
«Il primo, ero tornato improvvisamente un 14enne. Tanti anni fa, prima di ogni derby, sul terreno di San Siro scendevano a sfidarsi le giovanili dei due club. Nel 1973/74 ci fu a Milano la crisi petrolifera che causò l’austerità. Vietato sprecare energia, la domenica in giro a piedi, insegne luminose spente. Tutto fermo tranne il derby. Giocammo in quella strana atmosfera, vincemmo prima noi e subito dopo anche la prima squadra, con i gol di Boninsegna e Facchetti. Dieci anni più tardi ero titolare un’altra vittoria, ma con Muller e Serena».
Da ex portiere, chi sceglierebbe tra Maignan e Sommer?
«Entrambi fortissimi. Il nerazzurro ha avuto maggiore continuità, mentre il rossonero ha toccato picchi più alti. Il problema sarà sostituirli».
Si fanno i nomi di Caprile e Suzuki, lei ha qualche consiglio?
«Voto Caprile, è pronto per una big. In generale prediligo la scuola italiana, adoro i Donnarumma, Vicario, Carnesecchi e Meret».
Dice così anche in virtù delle difficoltà che sta affrontando la Nazionale?
«Due eliminazioni consecutive dai Mondiali hanno bruciato un’intera generazione. Dal 1970 al 2006 abbiamo sempre avuto una Nazionale almeno agli ottavi, c’è stata gente che ha dato tanto. Oggi faccio fatica a trovare i vari Bergomi, Baggio e Del Piero».
Quale può essere il problema?
«La Nazionale è il riflesso della lega domestica: abbiamo un centravanti che gioca in Arabia, uno nella Fiorentina ultima in classifica, l’altro è un ragazzino con 9 presenze in Serie A e dobbiamo dire per fortuna che c’è. L’unico fuoriclasse gioca in porta. Dimarco, Barella e Bastoni non sembrano loro, in nerazzurro hanno attorno un livello più alto».
Ritiene ingiuste le critiche verso Gattuso?
«È uno dei pochi che può restituire a questa Nazionale i giusti valori che il calcio sta smarrendo: rimanere sul campo un po’ di più, migliorarsi con il sacrificio. Rino è l’esempio pratico di quanto paghi la cultura del lavoro».
Qual è la soluzione?
«Si guarda troppo all’estero, giusto investire sugli stranieri ma solo se alzano il livello. Primavere e Under 23 le costruissero con soli italiani. E poi ricalibrare gli allenatori delle giovanili, travolti dall’ossessione del risultato quando dovrebbero solo preoccuparsi di formare e preparare calciatori per il debutto in prima squadra. E in base a quello andrebbero giudicati».
Chivu è uno che ha lavorato tanto con i giovani, l’ha stupita?
«Ha un percorso preciso: Ajax, Roma con Capello allenatore, protagonista nell’Inter del Triplete. Gavetta da tecnico nelle giovanili, salva il Parma e arriva all’Inter. Chivu è un uomo di grande intelligenza che sa come si parla in uno spogliatoio. Davano l’Inter per morta, è ancora lì».
Allegri sposa una filosofia diversa?
«Entrambi sanno leggere tra le pieghe delle rose a loro disposizione. Ho giocato con Max al Padova, è uno che capisce ogni situazione e mette ordine».
Se le chiedo cos’è l’Inter per lei?
«La mia vita, la mia seconda famiglia. Il posto in cui ho trascorso tutta la mia gioventù a partire dai miei 10 anni. Per l’Inter ho fatto il raccattapalle, smistato la posta e portato i caffè. Mi sono ritrovato riserva di Bordon prima e titolare poi. L’ho tifata in Curva. Sì, posso dire che l’Inter è la mia vita e che mi sarebbe piaciuto tornare a casa».




