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L'Africa "sta per esplodere": Europa e Italia travolte, come e quando

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Carlo Nicolato
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«Ho appena trascorso tre giorni nella savana, con gli amici Davide e Cristina abbiamo girato tanto, fatto tanti chilometri attraversando paesaggi sempre più secchi e aridi. Non ho mai visto una situazione così disastrosa, centinaia di animali morti... Bufali, zebre, ho visto i piccoli arrancare dietro le loro mamme e poi stramazzare al suolo morti. Le poche pozze d'acqua ormai prosciugate. Ogni mattina si guarda il cielo che da mesi non manda pioggia, ma sempre invano... Non ci sono più parole, per chi ci crede si può solo pregare e pregare ancora che la natura torni ai suoi tempi e ritmi normali, perché così non può durare ancora molto...». Gianfranco Ranieri racconta così con due grevi pennellate di colori spenti l'agonia di una terra che ha imboccato per l'ennesima volta, ma questa è peggio delle altre, l'inferno senza ritorno della siccità e della carestia.
 

 

 

SICUREZZA ALIMENTARE
Lui, imprenditore comasco di successo, questi posti li conosce bene. Vent' anni anni fa ha fondato la Onlus Karibuni in Kenya, nella Kilifi County, perché la sua vita non avrebbe avuto più molto senso se non avesse provato, come dice lui, «a vedere di restituire qualcosa». Gianfranco ha restituito eccome, ha fatto tanto in questi anni, scuole dove studiano 5mila ragazzi, tre fattorie, per un totale di 200mila metri quadrati di terreni, con coltivazioni e migliaia di alberi da frutto, «Millecinquecento per la precisione. Ma ora sono tutti morti. C'erano allevamenti, producevamo 80mila uova al mese ma abbiamo dovuto macellare 5mila polli perché manca il mangime». Tutto questo, racconta orgoglioso ma triste Ranieri, «ci serviva in parte per dare un pasto certo e giornaliero ai bambini, 3mila al giorno, in parte per la vendita. E con il ricavato pagavamo le spese. Il mio sogno era quello di arrivare a una sorta di autosostenibilità», di non dover far conto sulle lodevoli donazioni che comunque vengono tuttora immediatamente reinvestite per creare lavoro e produrre. «Ieri abbiamo riattivato quattro serre con la poca acqua razionata che siamo riusciti ad ottenere», una goccia nel deserto, la siccità appunto, la carestia. 

 

Secondo l'ultimo rapporto sull'insicurezza alimentare delle Nazioni Unite, l'Integrated food security phase classification, in Kenya almeno 2,7 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuti umanitari perche rischiano di soccombere alla carestia. Secondo Gianfranco solo nella sua comunità ci sono 145mila persone negli ospedali che vengono curate per denutrizione, ma la mancanza d'acqua, fa notare, crea anche seri problemi di igiene, con tutto ciò che ne consegue, malattie gastrointestinali, della pelle, infezioni. «Ora siamo in fase alert ma se si arriverà al 25% di bambini in situazione di denutrizione si passerà alla fase di alarm che comporterà interventi straordinari. Vorrà dire che ci saranno stati i primi morti. Sono sicuro che i morti ci sono già stati ma non lo dicono per ragioni politiche», chiosa amaramente Gianfranco. Ovviamente non c'è solo il Kenya, che anzi gode di mezzi superiori dei Paesi che lo circondano. È tutto il vicino Corno d'Africa che sta velocemente seccando al sole impietoso.

 

 


Secondo l'Unhcr (l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e il Norwegian Refugee Council, in Somalia ci sono 750mila persone in più sfollate, per un totale dal 1° gennaio 2021, quando l'acqua è cominciata a scarseggiare, di un milione tondo. Sono invece 1,8 milioni in 52 distretti della Somalia le persone che necessitano di immediata assistenza, per le quali la Fao ha lanciato un appello per la raccolta di circa 270 milioni di dollari. E si prevede che il numero di persone costrette a fronteggiare la fame nello stesso Paese aumenterà da 5 a più di 7 milioni nei prossimi mesi. Secondo le stime Onu, le piogge potrebbero tornare solo a marzo del 2023. Gianfranco invece è più pessimista, le stime locali, fondate più sull'esperienza che sulla scienza, sostengono che si potrebbe andare avanti così per altri 11 mesi. Il che vorrebbe dire un cataclisma. Tantopiù che non c'è solo la crisi climatica, ma anche le mancate o limitate forniture di grano a causa della guerra in Ucraina. Un disastro per gli allevamenti. «Noi la farina e i mangimi adesso li prendiamo dalla Tanzania grazie al mio responsabile che è un masai e ha contatti da quelle parti, ma altrove non so come ne verranno fuori» racconta ancora Ranieri. 
 

 

 

NAZIONI UNITE
Anche in Etiopia la situazione è drammatica: 5,6 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuti alimentari e circa tre milioni di donne e bambini sotto i cinque anni sono in condizioni di grave malnutrizione. Qui più che altrove la questione climatica si è sommata alle guerre locali, in particolare nel Tigray dove è in corso uno scontro violento tra il Fronte di Liberazione del Popolo e il governo federale etiope. E anche qui le promesse europee, dell'Unione o dei singoli Stati, si sono sprecate, salvo evaporare come i poveri laghetti nella savana. «Avranno altre cose a cui pensare ma sembra si siano dimenticati di questo pezzo d'Africa» incalza Ranieri la cui fiducia nella Ue e nelle sue capacità di guardare al futuro in prospettiva è bassa: «Non si vuole capire che il problema riguarda anche noi. Direttamente. Si parla di 50 milioni di africani che non hanno ormai nulla più da perdere, la cui unica alternativa alla morte di fame e stenti è quella di andare dove possono, nord Africa, Medio Oriente e quindi da noi. Anzi da noi soprattutto. Sarebbe uno stravolgimento biblico». E l'Onu? Che fanno le Nazioni Unite per questa gente? «A Nairobi, secondo hub mondiale dell'Onu, ci sono tutte le agenzie, tanti soldi, tante carte, tanta burocrazia, pochi fatti», chiarisce Gianfranco. Eppure basterebbe poco. «L'acqua qui c'è, la cosa incredibile è che se scavi a duecento metri di profondità in tante zone trovi dei laghi». 

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