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Suella Braverman, fine corsa per la sinistra: "Basta sbarchi di immigrati"

Suella Braverman

Giovanni Sallusti
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Suella Braverman, segretario di Stato per gli Affari Interni del Regno Unito, è difficilmente accusabile di “fascismo”. È di origini indiane per parte sia di padre che di madre, sventola un’agenda tutta thatcheriana imperniata sulla triade meno tasse-meno spesa-meno Stato, è una conservatrice britannica (l’opposto storico e antropologico di qualunque nazifascismo). Eppure, l’indignato social collettivo ieri le scagliava addosso, tra gli altri, anche l’inflazionatissimo aggettivo. Perché Suella ha fatto qualcosa di inaccettabile, ha messo in discussione il sacro dogma dell’immigrazionismo, culto mondano molto diffuso specie tra chi di migranti in carne e ossa non ne ha mai visti. Con le sue parole: «L’immigrazione incontrollata e illegale è una sfida esistenziale per l’Occidente. È una regola fondamentale della storia che le nazioni che non sono in grado di difendere i propri confini non sopravvivono a lungo».

 

 

IL PUBBLICO - La platea era quella dell’American Enterprise Institute, think tank neoconservatore con sede a Washington, e la ministra del governo di Sua Maestà ha chiamato le cose col loro nome: «Il multiculturalismo ha fallito, poiché se il cambiamento culturale è troppo rapido e troppo grande, allora ciò che era già presente viene diluito, e alla fine scomparirà». E no, lei non è pronta a rinunciare alla civiltà anglosassone, europea, occidentale, non si è rassegnata ai quartieri periferici fagocitati dalla sharia né al minestrone valoriale in prima serata. Dopodiché, arriva l’attacco mirato a un autentico tabù delle burocrazie internazionali.

«Stiamo vivendo in un nuovo mondo vincolato da modelli giuridici obsoleti». In particolare, e qui nelle redazioni progressiste di ambo le sponde dell’oceano fioccano i casi di ulcera perforata, dobbiamo chiederci se la Convezione dell’Onu del 1951 sullo Statuto dei rifugiati (che definisce i criteri per ottenere lo status e il relativo diritto d’asilo), «straordinario risultato della sua epoca», sia «adatta alla nostra epoca moderna o necessiti di riforme». Una domanda laica, avvalorata da uno studio del Center for Policy Studies (fondato dalla Thatcher), secondo cui la Convenzione «attualmente conferisce il diritto teorico di trasferirsi in un altro Paese ad almeno 780 milioni di persone». Ovvero: è come se esistesse un continente di potenziali rifugiati che hanno a priori il diritto di accasarsi altrove, una popolazione superiore a quella dell’Europa (che si ferma a 745 milioni). Poiché il posto dove emigrano è in genere proprio l’Europa (e l’Occidente in generale, ma gli Stati Uniti i flussi perseverano a gestirli e non subirli, anche con l’amministrazione democratica), capite che l’allarme della Braverman sul rischio che si eclissi una civiltà, la nostra, è tutt’altro che peregrino (era lo stesso allarme suonato da Oriana Fallaci, del resto).

 

 

Ma il momento in cui la ministra inglese ha fatto davvero inviperire le anime belle di mezzo mondo (dalle ong internazionali all’Arcigay nostrana, che si è presa la briga di vergare un comunicato esprimendo «preoccupazione») è stato quando ha fatto un esempio per dimostrare l’obsolescenza della suddetta Convenzione. Premessa: «Vorrei essere chiara: ci sono ampie zone del mondo dove è estremamente difficile essere gay o essere donna. Dove le persone vengono perseguitate, è giusto che offriamo rifugio» (è una politica Tory, mica Farinacci in gonnella). «Ma e qui sta il cambio di paradigma non saremo più in grado di sostenere un sistema di asilo se il semplice fatto di essere gay, o di essere donna, e di avere paura di essere discriminati nel proprio Paese è sufficiente per ottenere protezione».

Per essere di diritto un rifugiato occorre una persecuzione di fatto, oggettiva e riconoscibile, non la mera percezione di una discriminazione, argomenta Braverman, che ha una formazione legale e ha esercitato in grandi studi londinesi. Anche perché la percezione potrebbe essere lievemente strumentale. Non è un’illazione reazionaria, accade quotidianamente anche in Italia. Lo ha documentato un recente servizio di Dritto e Rovescio (Rete4), in cui un avvocato che aiuta i migranti ad ottenere la protezione ha confessato: «Io li faccio iscrivere alle associazioni Lgbt». Uno degli interessati è stato ancora più esplicito: «Qua in Italia se fai richiesta come omosessuale hai subito i documenti. Molti miei amici l’hanno fatto». Sì, Suella Braverman sta parlando di noi, il rischio «esistenziale» che ha evocato sonnecchia nelle nostre giornate, i Buoni lo sanno bene, ed è per questo che s’incattiviscono se qualcuno suona la sveglia.

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