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Migranti, record di cittadinanze concesse: ecco la prova che lo ius soli non serve

di Daniele Capezzone domenica 3 marzo 2024

4' di lettura

A smontare la narrazione di sinistra, che descrive un’Italia tremendamente avara nella concessione della cittadinanza, provvede in modo perentorio Eurostat. La parola alle cifre, dunque: nel 2022, quasi un milione di persone (989mila) hanno ottenuto cittadinanza in un paese Ue, circa un quinto in più rispetto all’anno precedente.

Andiamo a vedere come questo macro-dato risulta scomposto Paese per Paese: e viene fuori che il Paese-record è proprio l’Italia. Siamo stati noi la nazione che ha concesso più nuove cittadinanze nel 2022 (per l’esattezza, 213.700, pari al 22% del totale Ue). Medaglia d’argento per la Spagna (181.800 nuove cittadinanze, 18% del totale Ue); bronzo per la Germania (166.600 cittadinanze, pari al 17%). Seguono in classifica la Francia (114.500, pari al 12%) e la Svezia (92.400, pari al 9%).

E l’Italia mantiene il primato anche se si considera il maggior incremento nel 2022 rispetto al 2021: più 92.200, contro il più 37.600 della Spagna e il più 36.600 della Germania. Sul lato opposto della classifica, le diminuzioni maggiori si sono registrate in Francia (meno 15.900), in Olanda (meno 9.300) e in Portogallo (meno 3.700). Quanto ai beneficiari delle concessioni, in testa risultano marocchini (112.700), siriani (90.400) e albanesi (50.300).

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Dopo questa carrellata di cifre, ripensate al nostro (talvolta lunare) dibattito politico domestico, con la sinistra che da anni insiste per il varo dello ius soli o di una sua variante appena attenuata, lo ius culturae. Con quest’ultima versione, si punterebbe a far ottenere la cittadinanza al minore straniero, nato in Italia o arrivatovi entro il 12esimo anno di età, purché abbia frequentato per cinque anni almeno un ciclo di studio. A onor del vero, però, il grosso della sinistra vorrebbe di più: e cioè proprio uno ius soli pieno, con relativa revisione di tutti i criteri di acquisizione della cittadinanza.

Ora si può suonare la grancassa quanto si vuole a sinistra: ma pare difficile modificare la realtà dei numeri, che – come abbiamo visto prima – già fanno dell’Italia il Paese record nella concessione di cittadinanze. Badate bene: con le regole esistenti, senza ius culturae né ius soli.

E allora ricapitoliamo il quadro normativo esistente. In base alle leggi vigenti, si diventa cittadini italiani in molti modi diversi, prevalentemente attraverso cinque strade: se si nasce da almeno un genitore italiano; se si viene adottati da un italiano; dopo il matrimonio con un italiano; se si nasce in Italia da genitori non italiani (in questo caso, però, si può diventare cittadini dal 18mo anno di età); se si è stranieri regolari, dopo un certo numero di anni di residenza (10 per gli extracomunitari, meno in altri casi).

Bene, è sulla base di queste regole che l’Italia batte ogni anno nuovi record di concessione della cittadinanza, e non è solo un dato del 2022. Andando qualche anno a ritroso, e saltando per evidenti ragioni il triennio Covid, registriamo 224mila cittadinanze concesse nel 2017, 202mila nel 2016, 178mila nel 2015, 130mila nel 2014, 101 mila nel 2013, 65mila nel 2012. Come si vede, numeri elevatissimi (che in questo caso abbiamo ricavato dai dati della Fondazione Ismu, a loro volta basati su numeri Istat).

E allora dov’è questa urgenza dello ius soli? Dov’è l’emergenza? Tra l’altro, una ragionevolissima attesa della cittadinanza (non a caso fatta coincidere con il compimento della maggiore età) non priva l’adolescente figlio di cittadini stranieri proprio di nulla: né sul piano scolastico ed educativo, né su quello sociale, né in ogni altro aspetto riguardante i diritti e le libertà di un giovane.

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STESSI DIRITTI - Provate a fare a un sostenitore dell’allargamento una domanda semplicissima: quale sarebbe il danno – per l’adolescente figlio di cittadini non italiani – di dover attendere il diciottesimo compleanno per diventare italiani? Risposta semplice: nessun danno, nessuna possibilità in meno. Non c’è alcuna discriminazione. Anche per gli irregolari (ovviamente) sono e restano garantiti i diritti fondamentali della persona umana.

Quanto ai regolari, in linea di massima hanno gli stessi diritti dei cittadini italiani. In particolare, i lavoratori e le loro famiglie hanno piena parità di trattamento e uguaglianza giuridica rispetto ai lavoratori italiani.

Certo, ai fini dell’accesso ad alcuni servizi o benefici, la legge può stabilire dei paletti (è accaduto di recente anche per il reddito di cittadinanza, ancorato alla condizione dei dieci annidi residenza), ma deve appunto trattarsi di criteri oggettivi, generali ed astratti: non certo legati a razza, lingua o religione. È perfino superfluo sottolineare che queste ultime ipotesi siano tassativamente escluse, e addirittura inimmaginabili per il nostro ordinamento.

Morale. Il nostro adolescente figlio di non italiani e in attesa di cittadinanza può studiare? Sì, anzi deve. Può curarsi, se ha un problema di salute? Certamente. Può comportarsi in tutto e per tutto come i suoi compagni? Assolutamente sì. Ovviamente avrà solo documenti diversi, che gli serviranno per viaggiare e spostarsi. Tutto qui.

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