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Albania, letti, ambulatori e polizia: dentro i centri per migranti italiani, il reportage

Michele Zaccardi
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A Shengjin agenti e operatori sono pronti. Il primo sbarco avverrà domani, alle 8 di mattina. Sarà allora che l’accordo tra Italia e Albania troverà attuazione concreta: la nave Libra della Marina da 300 posti arriverà al porto di questa piccola località turistica - appena 12mila abitanti - situata al confine col Montenegro. Dal pattugliatore scenderanno i migranti soccorsi dalla Guardia Costiera in acque internazionali ma in zona Sar italiana. Non tutti, però. Perché la nave funzionerà come un hub. Dopo un primo screening per escludere donne, minori, famiglie e malati, che saranno immessi nel normale circuito dell’assistenza, il personale farà sbarcare gli uomini adulti, provenienti da uno dei ventidue Paesi ritenuti sicuri da un recente decreto della Farnesina.

GESTIONE ITALIANA
L’intera operazione messa in piedi dal governo riguarderà dunque solo quei migranti che possono, almeno sulla carta, venire espulsi. L’obiettivo, infatti, è rimpatriare chi non ha i requisiti per ottenere la protezione internazionale, senza aprire loro i confini nazionali. Anche se, in realtà, i 3.500 metri quadrati dell’hotspot di Shengjin ricadono sotto la giurisdizione di Roma. E in effetti, sull’edificio in cemento a due passi dalla banchina del porto, a cui un promontorio cinge le spalle, sventola il Tricolore. Sarà qui dove avverrà una seconda selezione. Il centro ospita infatti un ufficio immigrazione che si occuperà dell’identificazione dei migranti e anche ambulatori medici per fornire assistenza sanitaria. L’iter burocratico durerà qualche ora, al massimo una giornata (del resto a Shengjin non ci sono posti letto) e si concluderà con la richiesta di protezione internazionale. Poi i migranti saranno trasferiti a Gjader. Al villaggio sperduto tra le colline albanesi si arriva attraverso una strada che si snoda per venti chilometri nell’entroterra. Cancelli d’acciaio alti cinque-sei metri racchiudono tre strutture, costruite su un vecchio sito dell’aeronautica di Tirana.

A gestire questo centro, come quello di Shengjin, è il personale civile della cooperativa Medihospes che opera sotto la sorveglianza di un nucleo interforze composto da carabinieri, polizia e Guardia di finanza. La realizzazione degli edifici, curata dal genio dell’aeronautica italiana, non è ancora ultimata. Ma ciò non impedisce la piena operatività delle tre strutture: un centro di trattenimento per i richiedenti asilo da 880 posti (dei quali, al momento, ne sono pronti 400) un centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) da 144 posti e un piccolo penitenziario con venti posti. A regime, quindi, oltre mille migranti potranno essere ospitati e attendere qui l’esito delle domande di protezione internazionale. Una trafila burocratica che durerà al massimo quattro settimane, terminate le quali chi ha diritto sarà mandato in Italia. Chi invece riceverà un diniego finirà nel Cpr, in attesa del rimpatrio che, assicurano le forze dell’ordine, avverrà nel giro di qualche giorno, massimo qualche settimana, in virtù delle procedure accelerate di frontiera. La certezza, infatti, è che l’iter sarà rapido, senza però rinunciare alle tutele previste dalla legge. A cominciare dalla presenza di mediatori culturali che informeranno gli ospiti dei loro diritti e delle procedure. A Gjader inoltre alcuni “moduli” sono destinati ai colloqui - virtuali o in presenza - che i migranti terranno con gli avvocati.

 

 

L’area, d’altra parte, è vastissima: 77mila metri quadrati dedicati ad accogliere oltre 1000 migranti. C’è tutto, a Gjader. Appena entrati, subito dopo il cancello automatico, ci sono gli alloggi del personale e gli uffici. Il centro di trattenimento, invece, si trova più all’interno. Sopra un cortile di cemento verde lucido spuntano decine di prefabbricati, dei mini bungalow con due letti a castello, un tavolino e qualche sedia. Le camere hanno docce e condizionatori, ci sono ambulatori medici e due sale dove i credenti possono pregare. Qui i migranti saranno ospitati per massimo quattro settimane.

CPR BLINDATO
Quelli a cui verrà respinta la domanda d’asilo finiranno invece nel Cpr, dove potranno essere trattenuti fino a tre mesi, previa convalida del giudice. E da qui saranno rimpatriati. Vista la delicatezza della situazione, nel centro di permanenza le misure di sicurezza sono molto più stringenti, a cominciare dal cancello che lo separa dal resto delle strutture. È molto più piccolo del centro di trattenimento, e in parte ancora in costruzione, ma i prefabbricati sono già perfettamente funzionanti. Le casette sono disposte a quadrato intorno a un cortile interno, sovrastato da grate, accessibile ai migranti. I quali, però, non possono muoversi liberamente, come invece è concesso a chi si trova nel centro di trattenimento. Infine, a Gjader è presente un piccolo penitenziario. Venti posti in tutto, sotto l’occhio vigile della polizia penitenziaria, che può contare su un organico di 45 unità, anche se per ora c’è soltanto una dozzina di agenti. Si tratta a tutti gli effetti di un carcere in miniatura, che contiene pure le aule - con tanto di gabbie e videocollegamenti con i tribunali italiani- dove si svolgeranno le udienze per i migranti accusati dei reati previsti dal nostro codice penale. Non resta altro che aspettare il primo arrivo, dunque. Tutto è pronto per suggellare un esperimento di gestione dei flussi migratori che ha catturato l’interesse di diversi governi europei. E che, se dovesse funzionare, potrebbe rappresentare un nuovo paradigma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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