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Albania, ecco il decreto del governo: una lista di Paesi sicuri per difendere i confini

Massimo Sanvito
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Oggi è il giorno. Il giorno del decreto legge per far valere la politica di difesa dei confini così come scelto dagli italiani alle urne. Il documento che approderà in Consiglio dei Ministri nel tardo pomeriggio, dopo la bocciatura del Tribunale di Roma al trasferimento dei primi immigrati in Albania, avrà come obiettivo fondamentale quello di elevare a norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri (dove poter rispedire i clandestini) e non più, come accade ora, lasciare l’elenco in balìa degli aggiornamenti annuali (l’ultimo è datato 7 maggio) di un decreto interministeriale (Esteri, Interni e Giustizia). Un passo in avanti decisivo per spezzare l’impasse e mettere in moto la macchina dei rimpatri: la lista sarò aggiornata ogni sei mesi.

Ma i nodi da sciogliere non mancano, a partire dal rapporto col diritto comunitario (superiore rispetto a quello italiano) e, soprattutto, dalla definizione dei parametri da usare per stabilire se un Paese è sicuro o meno in modo da limitare la discrezionalità dei giudici. È qui che si gioca la partita. Tra le ipotesi al vaglio dell’esecutivo Meloni, inoltre, c’è anche quella di rendere appellabili le ordinanze dei giudici. Con uno scopo molto chiaro: bloccarne l’effetto per scongiurare una pioggia di sconfinamenti di campo deleteri per gli indirizzi politici del governo in materia di immigrazione. Non solo. Perché si sta ragionando anche sulla questione delle procedure. Non è escluso che il nuovo decreto potrebbe rivedere quelle relative alla richiesta di protezione internazionale dei richiedenti asilo per velocizzare i tempi di risposta e dunque anche i trasferimenti degli extracomunitari che non hanno diritto a restare in Italia. Elly Schlein, però, non ci sta.

«Giorgia Meloni ha già fatto una figuraccia e insiste. Continua con la propaganda, alimenta un grave scontro istituzionale e butta via i soldi degli italiani», ha detto in un’intervista a La Stampa. Per poi spararla grossa: «Penso che se un governo vuole aggirare norme e sentenze europee può solo decidere di uscire dall’Unione Europea. Non credo che vogliano proporre questo, anche se non sarebbe la prima volta per loro. La verità è che sono talmente incapaci che non sono riusciti a costruire un meccanismo che non sia fuorilegge e hanno sprecato 800 milioni di fondi pubblici. Devono chiedere scusa per i loro errori, invece di provare a coprirli dando la colpa ai magistrati e alle opposizioni». Del resto, che per la sinistra, più o meno moderata, il sistema migliore fosse quello delle porte spalancate a tutti indiscriminatamente era cosa già nota a tutti. E per non farsi mancare nulla, mischiando le mele con le pere, ecco Marco Simiani, capogruppo del Pd in Commissione Ambiente alla Camera: «Le alluvioni causate dai mutamenti climatici sono oggi una delle emergenze nazionali più allarmanti. Occorre agire subito per ricercare soluzioni innovative per cercare di prevenire gli effetti disastrosi di queste catastrofi e mettere in sicurezza i territori. Invece di intervenire il governo Meloni convoca consigli dei ministri per cercare di salvare la faccia dopo la miserabile figuraccia albanese».

 

 

Intanto, continua il fuoco incrociato di magistratura e opposizioni contro il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo le sue parole a proposito dell’applicazione da parte del Tribunale di Roma della sentenza della Corte Ue del 4 ottobre («se la magistratura esonda bisogna intervenire»). In un’intervista rilasciata a Repubblica, Nordio ha specificato che «un buon magistrato dovrebbe comprendere il perimetro delle sue competenze» e che la sentenza europea «non è stata disapplicata da noi, ma male interpretata dai nostri giudici» perché «la definizione di Paese sicuro non può spettare alla magistratura ma è una valutazione politica pur nei parametri del diritto internazionale». E di «toni di aggressione al lavoro giudiziario che non hanno precedenti» parla il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia. «In questo clima accesissimo io sono fortemente preoccupato: faccio un appello a tutti perché si ritorni ad usare la ragione e qui la ragione è che il diritto vada applicato da tutti».

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