La pacchia è finita. Chi pensava di fare dell’immigrazione irregolare il proprio core business, ora rischia grosso. Fra venerdì notte e sabato mattina sono arrivati i primi dieci arresti della maxi-operazione, coordinata dal Servizio centrale operativo (SCO), sul giro d’affari illecito che da nord a sud permetteva l’ingresso nel paese a centinaia di clandestini grazie a permessi di lavoro fasulli.
Un’indagine dalle dimensioni mastodontiche che ha portato al controllo di 167 imprese o abitazioni - con anomalie accertate in 100 di queste - e accertamenti su 1418 persone, di cui 1317 straniere. Come spiegato da Andrea Olivadese, dirigente del Sco, «grazie all’ondata di controlli massivi e mirati in 23 province, sono stati scoperti 135 lavoratori clandestini». Ma non è tutto, l’inchiesta ha riguardato anche i datori di lavoro. Per questo «in 92 sono stati deferiti all’Autorità giudiziaria». Nei confronti di 65 italiani e 27 stranieri, sono in corso indagini perla commissione di diversi reati, far cui favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso documentale e sostituzione di persona.
Si prospettano quindi tempi durissimi per quanti, negli ultimi anni, hanno tentato di arricchirsi grazie all’immigrazione incontrollata. Del resto, era stata proprio Giorgia Meloni, con un esposto alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, a denunciare le criticità legate al sistema del “click day” per concedere i permessi di soggiorno. E ora è arrivata una nuova raffica di arresti legati alle falsità documentali nelle procedure di ingresso disciplinate dal decreto flussi. «Una materia particolarmente sensibile in questo momento», ha continuato Olivadese, «che si lega ad altri fenomeni illeciti come quello del caporalato».
Per dare un’idea della portata dell’operazione, sono state coinvolte le Squadre mobili di Bari, Bologna, Cagliari, Caltanissetta, Caserta, Foggia, Massa Carrara, Matera, Milano, Monza Brianza, Piacenza, Prato, Ravenna, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rieti, Savona, Taranto, Terni, Torino, Treviso, Vercelli e Vibo Valentia. Il tutto, con la collaborazione dei Reparti prevenzione crimine e degli Uffici Immigrazione delle Questure interessate.
Le indagini hanno fatto emergere numerose anomalie nelle procedure d’ingresso dei lavoratori stranieri. Indirizzi di residenza fittizi - che spesso coincidevano con il luogo di lavoro-, altri inesistenti e altri ancora ripetuti innumerevoli volte. Le Squadre mobili hanno scovato anche contratti di lavoro fasulli sfruttati per ottenere i permessi di soggiorno e sono venute a conoscenza di servizi di intermediazione illecita.
Stando alle prime stime, i ricavi generati dai permessi di soggiorno ottenuti irregolarmente e scoperti dalle forze dell’ordine si aggirerebbero intorno ai 500.000 euro. Il “tariffario” per l’ingresso in Italia parlava infatti di pratiche dal costo compreso tra i mille e i 5 mila euro a straniero.
A gestire il flusso di clandestini erano spesso articolate reti di Caf e liberi professionisti, ormai specializzati in questo tipo di truffa. Nel corso delle indagini, come chiarito da Olivadese, è emerso che in alcuni casi le pratiche siano state gestite anche all’insaputa dei datori di lavoro, i quali finivano per rimanere vittima di furto d’identità imprenditoriale. Altre volte invece, sono risultati conniventi. Gli irregolari, una volta pagata la cifra pattuita, venivano inquadrati con mansioni nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e della ristorazione.
Tra gli arrestati sono emersi profili inquietanti: uno degli stranieri era ricercato a livello internazionale per omicidio, altri due erano accusati di spaccio di stupefacenti. L’italiano fermato, già noto alla polizia, era invece ricercato per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento all’immigrazione clandestina.