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Governo, martedì viceministri e sottosegretari

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I Popolari minacciano di non votare la fiducia, il Pd è agitato: arrivano le "poltroncine" per guarire i maldipancia

Matteo Legnani
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Se «la ricreazione è finita», per dirla con il neopremier Matteo Renzi, è ora di tornare in classe. Anzi, in Aula. Subito, domani, la fiducia in Senato, a seguire martedì alla Camera. In contemporanea anche un secondo Consiglio dei ministri con l'infornata di sottosegretari e viceministri dopo quello d'esordio, ieri, che ha incoronato Graziano Delrio quale numero due di Palazzo Chigi e braccio destro indiscusso del premier Renzi. Delrio, uomo ombra del rottamatore, succede a Filippo Patroni Griffi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, un ruolo chiave visto che sul suo tavolo passeranno tutti i dossier più delicati del governo. Ma se la nomina del medico endocrinologo Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia nonché ex presidente dell'Anci, abile tessitore di rapporti diplomatici tra i vari partiti per conto del capo, era praticamente scontata, molto più fumosa appare la situazione delle altre caselle governative da riempire. Intanto perché Renzi, fedele alla legge Bassanini sui numeri dei dicasteri, ha voluto una squadra snella, di sedici ministri di cui la metà donne per evitare discussioni sulle quote rosa e nel segno di una presunta discontinuità (sebbene su 16 ben 9 siano stati riciclati dall'esecutivo uscente). Poi perché, avendola cesellata con il manuale Cencelli della politica per non scontentare nessuna corrente del Pd, e dopo un tira e molla estenuante con gli alleati della maggioranza, è inevitabile che l'esito finale abbia suscitato un mare di polemiche.  Malumori che rappresentano le prime grane del neonato governo alla vigilia della fiducia. Al Senato, ad esempio, i numeri sono incerti e 12 senatori di Popolari per  l'Italia - il gruppo il cui leader è l'ex ministro della Difesa Mario Mauro - rimasti all'asciutto sulla partita dei ministri, faranno pesare i loro voti. Il senatore Mauro, ex montiano, sperava nella riconferma a Palazzo Baracchini, pensava che il suo lavoro anche per riportare a casa i due marò sarebbe stato ricompensato che, insomma, Renzi l'avrebbe lasciato dov'era. Invece al suo posto da ieri c'è l'ulivista Roberta Pinotti, già sottosegretario alla Difesa, donna e poi del partito del premier. Premiato, invece, con una poltrona da ministro l'Udc di Casini che ora può vantare il bolognese Gian Luca Galletti come ministro dell'Ambiente. Dicastero di peso pure a Scelta civica, che ha preteso e ottenuto Stefania Giannini all'Istruzione in cambio di un pieno appoggio a Renzi. Morale: della truppa centrista solo i Popolari sono rimasti fuori, ragion per cui il loro sì alla fiducia vacilla. «Valuteremo dopo avere ascoltato Renzi in Parlamento», recitava ieri una nota del gruppo, «prendiamo atto che nel nascente governo i Popolari non sono stati chiamati a partecipare». Offesi: «Avevamo presentato proposte programmatiche serie e puntuali». In verità, lo stesso Mauro ha fatto sapere che da lui verrà «una proposta al partito di votare per la fiducia. Solo ed esclusivamente per i contenuti dell'appello del capo dello Stato Giorgio Napolitano», ha specificato il senatore. Ma a sentire alcuni suoi colleghi, il malessere c'è eccome. Tanto più che dodici voti in meno a Palazzo Madama per Renzi non sono pochi.  Se si aggiunge, poi, la questione di Civati e dei suoi sei senatori indecisi che, in perfetto stile Grillo ha lanciato il sondaggio on line per fare decidere al popolo del web se sia il caso o meno di votare la fiducia a Renzi, la situazione si complica. L'ex sindaco di Firenze sperava, inoltre, di raccattare i voti dei cosiddetti dissidenti del Movimento Cinquestelle, ma a sentire Luis Alberto Orellana, che ha criticato l'assenza di un dicastero alle Politiche europee, quel consenso, almeno per ora, non dovrebbe arrivare anche perché significherebbe per i grillini ribelli (oltre ad Orellana anche Battista, Bocchino e Campanella), uscire definitivamente dal Movimento, mentre loro intendono restare o comunque non salire sul carro di Renzi. Più probabile che il neopremier si trovi a fare i conti con una nuova formazione a sinistra del Pd che peschi anche da Sel o dai delusi del Pd. Riunirebbe tutti coloro che, pur non stando nel centrodestra, hanno bocciato il nuovo esecutivo. Ci sono perfino democratici che hanno preso malissimo la scarsa rappresentanza di ministri del Sud, l'assenza completa di piemontesi a favore di liguri, toscani ed emiliani. La maniacale ricerca del rispetto delle correnti Pd che avrebbe penalizzato competenze e rottamato esperienze. I lettiani, poi, manco a dirlo, sono furibondi. E la minoranza cuperliana comincia a fare le bizze. Ecco perché ora Renzi cercherà di ammansire un po' tutti offrendo poltrone da sottosegretari e viceministri ai delusi. Prima, però, lo attende la prova fiducia.   di Brunella Bolloli

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