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Senatori a vita,il grande sconfitto è Scalfari

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Dopo mesi di battaglie a sostegno del Colle era convinto di meritare il seggio a vita. Invece Napolitano si è scordato del fondatore di "Repubblica"

Matteo Legnani
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Agosto è il più crudele dei mesi, e si perdono nelle nebbie della storia i giorni in cui, poco più d'un anno fa, Eugenio Scalfari s'incamminava lungo il viale che conduce a Castel Porziano per rendere omaggio a Giorgio Napolitano. Allora, la natura era radiosa, e amica anche. «Un cinghialotto ci passa davanti e scompare nel folto del bosco», scriveva Barbapapà travolto dall'ispirazione georgica. «Sulle strisce di prato ai lati del viale saltella qualche merlo e un'upupa, “ilare uccello”, cammina impettita con la piccola cresta sul capo». E i lettori tutti,  ammirati da tale poesia,  si domandavano di che sostanza fossero composte le «strisce» del prato e se non fossero, a ben vedere, illegali. Ora l'ilare upupa ha abbassato la cresta, l'arzillo cinghialotto non saltella più: lo arrostiscono i pastori e i loro fuochi non bastano ad illuminare quella che per Scalfari è la notte più scura di tutte. Il presidente della Repubblica ha nominato quattro senatori a vita e tra questi non c'è il Fondatore del quotidiano che si chiama, appunto, Repubblica (e solo per questo un minimo di riconoscimento lo avrebbe meritato, che diamine). Mesi e mesi di sforzi, di lotte senza quartiere, di zerbinaggio al limite dell'umana dignità non son bastati a Scalfari per vedersi garantito l'agognato scranno. Leggi l'approfondimento di Francesco Borgonovo su Libero in edicola sabato 31 agosto

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