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Andrea Tempestini
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Ancora una volta a Siena vince la politica (del Pd e della sinistra) e perde il mercato. Vince la logica del 51%. Parafrasando il presidente di banca Mps, Alessandro Profumo, che ha ricordato l'anacronistica volontà della Fondazione di mantenere il controllo sull'istituto. Anche a costo, si legge sempre tra le righe delle sue dichiarazioni, di ributtare  nell'incertezza il piano di risanamento e soprattutto il rimborso ai contribuenti dei 4 miliardi pubblici di Tremonti e Monti bond. Alle 14 di ieri, infatti è stato posto al voto in assemblea la proposta del cda di avviare da subito l'aumento di capitale da 3 miliardi. Favorevole il 27,71%, tra cui il gruppo Menarini, JpMorgan e i francesi di Axa. Contrario il 69,06%. La proposta della Fondazione è passata con l'82,04%. Risultato: al via la linea di Antonella Mansi, presidente della Fondazione, e la strategia dell'intero sistema fondativo coordinato  dietro le quinte, secondo indiscrezioni, da Romano Prodi, Giuseppe Guzzetti e Giovanni Bazoli. «In questo contesto di complessità», ha dichiarato Antonella Mansi in apertura dei lavori assembleari, «abbiamo dovuto segnalare che l'accelerazione delle operazioni di aumento di capitale avrebbe definitivamente compromesso la possibilità di continuare a farci carico di quelle utilità sociali che sono l'essenza della nostra natura fondazionale». In sostanza la Fondazione non si tocca. Tutelare il patrimonio futuro per la Mansi non è un optional. E quindi senza parlare espressamente di sfiducia a Profumo, la linea approvata è quella di andare avanti e avviare l'aumento di capitale dopo il 12 maggio. Ovvero dopo che, con il sostegno del sistema delle Fondazioni, Palazzo Sansedoni avrà potuto fare cassa dalla vendita di azioni per accantonare un tesoretto e averne altri 400 per partecipare all'aumento di capitale stesso.  Le questione ora è capire che cosa può accadere  da qui all'estate. L'ad Fabrizio Viola ha elencato i problemi strutturali della banca. Dicendo che moltissimo è ancora da fare, ma diluire il piano di risanamento in attesa dei tempi della Fondazione avrebbe un effetto negativo. La questione più pesante, però, l'ha posta Profumo.  «Oggi si può fare l'aumento di capitale e c'è un consorzio di garanzia», ha spiegato, «a maggio non sappiamo se ci sarà, né a quali condizioni o con quali clausole». Senza contare che se cade il governo «aumenta l'incertezza». In sostanza la velata minaccia-previsione gira attorno a un concetto semplice. Se non andasse in porto l'operazione made by Mansi, la nazionalizzazione sarebbe automatica. E, a quel punto, la possibilità di rimborsare ai contribuenti italiani quei 4 miliardi (erano 6 poi ridotti di circa 2 grazie all'intervento del management) di Tremonti e Monti bond verrebbe meno. Aiuti di Stato, anche se a cari, che al contrario – sempre secondo Profumo – l'avvio immediato dell'aumento di capitale avrebbe messo «al riparo da incertezze», ha concluso il numero uno dell'istituto senese. Lasciando intendere di accettare le direttive dell'assemblea e dell'azionista di maggioranza. Al quale, tuttavia, lascia tutte le responsabilità.  Non a caso ha parlato di dimissioni e nel prossimo cda di metà gennaio sarà affrontato l'argomento. Presto per parlare del successore. In ogni caso, per il bene di 5 milioni di correntisti, 25mila dipendenti e per i contribuenti italiani c'è da augurarsi che chi ha mosso le fila dietro la Fondazione Mps sappia come portare a termine l'operazione. E riesca a farlo. La scorsa primavera Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, aveva chiesto al sistema delle Fondazioni di fare un passo indietro. Non è stato così.  Nel frattempo il neo segretario  del Pd, Matteo Renzi,  si defila. Non vuole entrare  nel ginepraio di Siena. Se malauguratamente l'operazione andasse male, resterà la logica del bancomat collettivo. di Claudio Antonelli

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