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L'editoriale

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di Franco Bechis

Eleonora Crisafulli
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Da dieci giorni studiano. Oh, come studiano! Deputati e senatori si riuniscono in continuazione per trovare qualche marchingegno complicatissimo per prendere una decisione semplicissima: tagliare i loro stipendi. Si sono riuniti una volta da soli ciascuno nel suo parlamentino. Si sono riuniti una volta i deputati con Gianfranco Fini. Una volta i senatori con Renato Schifani. Si sono riuniti una volta tutti insieme. Si spremono le meningi, ma poi quando arriva il momento fatidico, quello in cui zac! Basterebbe calare giù un paio di forbici, ci ripensano. Meglio studiare ancora un po'. E se il taglio non venisse bene? E poi, che tagliare? Le indennità? I rimborsi di soggiorno? I taxi pagati a forfait? Quei fondi che dovrebbero essere impiegati per assumere i portaborse che quasi mai vengono assunti? Ah, che imbarazzo. Non si sa proprio cosa scegliere. E nel dubbio non si è scelto ancora nulla. Ci si riunirà di nuovo, si studierà un po' e con tutto il tempo che c'è davanti vuoi vedere che poi gli italiani se ne dimenticano e si riesce a salvare il portafoglio? La pantomima diventa estenuante. E a due settimane dalla approvazione della finanziaria è stato deciso di tagliare gli stipendi dei supermanager, quelli dei dirigenti pubblici, quelli dei magistrati e dei professori universitari, perfino quelli di due poveri ministri, Ferruccio Fazio e Giancarlo Galan e di un minigruppo di sottosegretari, guidati da Gianni Letta e Daniela Santanchè. Mezza Italia è già a dieta con la cintura stretta e i parlamentari che avrebbero dovuto essere i primi a dare l'esempio, sono lì a studiare. Chissà, un giorno o l'altro calerà anche a loro la pancetta. Eppure cinque anni fa a presentare la finanziaria 2006 erano gli stessi protagonisti di oggi: Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Allora come oggi avevano il compito ingrato di mettere a posto i conti pubblici. E decisero che a dieta dovesse mettersi anche il Palazzo. Così senza troppi salamelecchi inserirono nella legge finanziaria una norma secca che diceva: dal primo gennaio 2006 sono tagliate del 10 per cento le indennità di tutti i parlamentari nazionali, di quelli europei, dei ministri e dei sottosegretari non parlamentari, di tutti e 750 i consiglieri regionali esistenti. Risparmio previsto: 23,4 milioni di euro, mica tanto simbolico. Allora la situazione internazionale era assai meno grave di oggi, eppure nessuno di loro protestò. Né il presidente della Camera, Pierferdinando Casini, o quello del Senato, Marcello Pera, si offesero per la decisione presa dal governo senza rispettare le liturgie dei due rami del Parlamento. Quest'anno tutt'altra musica. Berlusconi aveva chiesto di ripetere lo stesso gesto: sacrifici per tutti, e un messaggio chiaro a partire da chi vive nel palazzo. La Lega aveva dato il suo ok, proponendo con Roberto Calderoli un taglio prima del 5 e poi del 10 per cento. Perfino l'opposizione era d'accordo: il Pd ha proposto di togliere una mensilità di stipendio a deputati e senatori (taglio quindi dell'8,3%). E perché poi la norma non è stata inserita in Finanziaria? Semplice: si sarebbe offeso il presidente della Camera, Fini. Quello del Senato, Schifani,  era d'accordo. Ma nelle fila del governo prima Letta e poi Tremonti hanno suggerito: «no, non tagliamo subito, sarebbe uno sgarbo a Fini. Lui vuole che si rispetti l'autonomia della Camera, rischiamo uno scontro inutile». Così per fare contento Fini e fare annunciare a lui tagli che non avrebbe mai voluto annunciare, la riduzione degli stipendi è ancora lettera morta, affidata alla melina delle procedure e delle riunioni. Nell'attesa almeno qualcuno nell'ufficio di presidenza sta lavorando sui tagli possibili delle spese interne. Il vicepresidente della Camera, Antonio Leone, che ha la delega sul personale, ha già iniziato le trattative sui contratti integrativi dei dipendenti, cercando di racimolare qualche risparmio come è accaduto con i dipendenti pubblici. Ma la paghetta del deputato, no. Quella non si tocca per non recare offesa al presidente della Camera. E la cinghia ora la stringono tutti gli altri.

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