L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Ho aspettato fino a tarda sera prima di scrivere l'editoriale di oggi. Volevo infatti poter vergare queste righe tenendo conto delle spiegazioni fornite dalla presidenza della Camera. Non per la faccenda della casa di Montecarlo, sulla quale, nonostante rivelazioni sempre più torbide, Gianfranco Fini insiste nella consegna del silenzio, ma per le pressioni che la terza carica dello stato avrebbe esercitato su un alto dirigente Rai allo scopo di far assegnare appalti milionari a suo cognato. La ricostruzione di Franco Bechis pubblicata ieri da Libero è precisa e circostanziata: ci sono date, cifre e conversazioni virgolettate. Il nostro vicedirettore ha rivelato che tra settembre e novembre di due anni fa, Fini in persona sollecitò Guido Paglia, uomo di fiducia di An dentro la Rai, affinché garantisse un ricco contratto a Giancarlo Tulliani, fratello della sua compagna, il quale avrebbe dovuto produrre fiction e programmi di intrattenimento, oltre che trattare diritti cinematografici su film esteri. Una richiesta impropria, non solo perché fatta da un leader politico che ricopre un incarico istituzionale, ma soprattutto per l'assoluta incompetenza del cognatissimo, il quale fino a quella data non si era mai occupato di spettacolo, né per la tv di stato né per quella di Roccacannuccia. Le insistenti pretese sarebbero state manifestate in due tempi. Prima con la richiesta di ricevere Tulliani, un modo non ancora del tutto esplicito di far intendere che le sue richieste dovevano essere assecondate. Poi addirittura con una convocazione di Paglia alla Camera, nell'appartamento in uso al presidente . Qui Fini – alla presenza del cognato - avrebbe detto chiaro e tondo che bisognava far lavorare la società di famiglia, saltando la concorrenza e le regole Rai che impongono l'iscrizione dei fornitori in un apposito registro. Alla risposta negativa del dirigente, il quale avrebbe chiarito l'impossibilità di aggirare la procedura, il paladino della moralità non solo avrebbe assistito impassibile agli insulti del cognato nei confronti di Paglia, ma poi avrebbe tolto il saluto all'amico di trent'anni. Una rottura che al funzionario Rai sarebbe costata la carriera: da quel giorno infatti Paglia è stato messo da parte e non ha avuto la nomina a vicedirettore generale che era attesa. In compenso, Giancarlo Tulliani, l'uomo che non aveva mai prodotto un film ma neppure una reclame per Carosello, si vide assegnare un appalto per produrre due puntate per la seconda serata, un programma per Rai Uno e una mini serie con Pino Insegno. Valore del contratto: quasi due milioni di euro. Pagati con il canone dei contribuenti. Come dicevo, al racconto di Bechis – che è rafforzato da precise e documentate testimonianze – fino a ieri sera non è stata opposta alcuna smentita o chiarimento da parte della presidenza della Camera. E qui si apre un problema. Nei giorni scorsi ci siamo scandalizzati per l'appartamento ricevuto in eredità da An e venduto a un quinto del suo valore, per poi essere girato al cognatissimo. Già quella sembrava una vicenda losca, sulla quale il presidente della Camera avrebbe dovuto fare chiarezza: la casa era patrimonio del partito, non del suo capo, e dunque questi avrebbe l'obbligo di renderne conto senza fare il leaderino permaloso o minacciare querele. Ora però che spuntano accuse di pressioni per far aprire i forzieri di mamma Rai ai parenti, la posizione di Fini si fa, se possibile, più complicata. Come può la terza carica dello stato, già assai discussa per i suoi comportamenti da capo fazione, continuare a esercitare la sua funzione con autorevolezza senza dirci se è vero o no che alla Camera lui passa il tempo a brigare per favorire i congiunti con i soldi della tv di stato? Come possibile affidare un ruolo delicato come il suo a un signore che è accusato di comportarsi peggio di un vecchio ras dc? So che lui si ritiene superiore e intoccabile. Ma al punto in cui siamo urge discesa dal piedistallo: chiarisca o levi il disturbo.