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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

bonfanti ilaria
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C'era da immaginare che prima o poi Gianfranco Fini si sarebbe stancato di beccarsi ogni giorno una paginata sulle sue marachelle e dunque avrebbe reagito. Anzi, era evidente che il silenzio dei giorni scorsi serviva solo a mettere a punto la strategia per poter rispondere alle accuse sulla casa di Montecarlo. E alla fine il presidente della Camera ha battuto un colpo. Ma non come tutti quanti ci saremmo aspettati, aprendo il quartierino, per mostrare se c'è oppure no una cucina Scavolini. E nemmeno facendo tornare il cognato per fargli confessare la verità sulla strana operazione monegasca. E neanche svelando i nomi dei compratori dell'appartamento nascosti dietro società off-shore, così da dimostrare di non aver nulla da nascondere. No, niente di tutto questo. La terza carica dello Stato ha dato il via libera a una controffensiva che mira a buttarla in vacca e a far passare tutta la storia come una bufala confezionata dagli avversari politici. Bastava leggere ieri l'editoriale di Marco Travaglio sul Fatto per capire che, dopo  qualche giorno di disorientamento, il più forcaiolo dei giornalisti aveva indossati i panni dell'avvocato difensore.  Già il titolo dell'articolo era un programma: “La provola fumante”. E via con i frizzi e i lazzi per dire che i testimoni sono tutti baluba e fanno a gara a spararla ogni giorno più grossa. Stessa tesi su Europa, il giornale clandestino del Pd. E pure il Riformista ci dà dentro per dire che tutto rischia di finire con le scuse a Fini, come l'affare Boffo (dimenticando che si concluse con le dimissioni del direttore dell'Avvenire). Il coro quotidiano ovviamente è alimentato dai finiani, i quali dal giorno in cui s'è scoperto della cucina raccontano in giro che è tutta una montatura, una campagna politica e gli avvistamenti del presidente della Camera nel Principato sono opera di mitomani. Proprio qualche giorno fa avvertivo del rischio che si provasse a insabbiare l'affare Montecarlo e quello forse ancor più grosso degli appalti Rai ridicolizzando ogni cosa o cercando una buccia di banana su cui far scivolare i cronisti. Questo è il metodo che nel passato è stato usato per nascondere gli scandali della sinistra, approfittando di una stampa compiacente più abituata a fare copia e incolla di verbali che a cercare testimoni.  Difficile però che l'operazione riesca. Per quanto si affannino a gettare secchi di sabbia sulla faccenda, è praticamente impossibile ricoprire tutti i dubbi emersi quest'estate sulle operazioni immobiliari e finanziarie che ruotano attorno al clan Fini. Anche perché, mentre gli uomini del presidente della Camera sono impegnati in quella che un tempo sarebbe stata definita un'operazione di disinformatija, si aprono altri fronti. Il settimanale Panorama ieri ha annunciato che a Perugia la procura vuole veder chiaro nel patrimonio immobiliare e finanziario accumulato in pochi anni da Elisabetta Tulliani. Venti milioni non si spiegano con una vincita di un solo milione al Superenalotto. Il sospetto è che invece quei soldi non siano altro che denaro di Luciano Gaucci, l'ex patron del Perugia intervistato da Libero la settimana scorsa, il quale prima di fallire avrebbe messo al sicuro i fondi  affidandoli proprio alla “signora” Fini. E , come se non bastasse, un'altra tegola è in arrivo e riguarda il segretario di Futuro e Libertà, il viceministro Adolfo Urso. I pm di Roma hanno acceso i riflettori su una ricca operazione immobiliare, raccontata proprio da Libero qualche mese fa, che ha consentito all'esponente finiano di accaparrarsi un appartamento in pieno centro di Roma. Un attico con terrazza da 500 metri quadri, comprato con un mutuo da due milioni e mezzo di euro, per il quale il numero due dello Sviluppo economico paga una cifra da capogiro. Insomma, invece di  finire occultato come vorrebbero Fini e i giornali che gli danno manforte, qui l'affare delle operazioni immobiliari s'ingrossa. 

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