Cerca
Cerca
+

L'editoriale

default_image

di Maurizio Belpietro

Eleonora Crisafulli
  • a
  • a
  • a

La beatificazione a testate unificate dell'ex amministratore delegato di Unicredit dimostra, se qualcuno avesse avuto dubbi, che i banchieri sono i veri uomini forti di questo Paese e i soli padroni dell'editoria. Perciò, anche quando cadono, cadono in piedi e continuano a godere della protezione dei giornali amici, i quali ieri hanno descritto la resa di Alessandro Profumo al pari di quella di un eroe moderno, anzi di un martire. Commoventi i passaggi su La Repubblica e l'accostamento  a Giorgio Ambrosoli, l'avvocato fatto uccidere da Michele Sindona, e a Guido Galli, il pm ammazzato da un commando di Prima linea, con la sottolineatura della dirittura morale dell'illustre trombato. Incredibili invece le osservazioni del giornale che fu degli industriali, il Sole 24 ore, il quale invece di difendere le buone ragioni degli azionisti di Unicredit, esautorati da Profumo su qualsiasi decisione strategica, se la prende con le loro presunte ingerenze, accusandoli di aprire i forzieri alla politica. In realtà in questa storia non c'è nessuna vittima della partitocrazia. C'è semplicemente un manager che si era fatto padrone e credeva di disporre della banca come di una cosa propria, senza riferire o rendere conto a nessuno, neppure ai vertici aziendali. Quale imprenditore potrebbe mai accettare che un proprio dirigente, per quanto bravo, facesse entrare a sua insaputa nuovi padroni senza neppure informare gli organi societari? Quale accetterebbe di essere avvisato dai giornali di non essere più il socio di riferimento? Probabilmente nessuno. Ma questo è ciò che è successo. Profumo ha spalancato le porte ai libici, consentendo a tre soggetti riconducibili alla finanza araba di diventare i primi azionisti di Unicredit scavalcando, seppur di poco, le fondazioni che da sempre costituivano il nocciolo duro della banca. E tutto ciò senza avvisare il consiglio di amministrazione o il presidente. Stesso comportamento quando si è trattato di cedere il Mediocredito centrale, società messa in vendita nel totale silenzio. Lo stile padronale ovviamente non è affare di ieri. Profumo ha sempre interpretato in tal modo il proprio ruolo. Ma un conto è esercitarlo quando le cose vanno bene e si possono esibire risultati al di sopra della media, un altro è quando gli utili stanno al di sotto. L'ex banchiere di cui oggi si descrivono solo i meriti - che pure ci sono e sono importanti - in realtà negli ultimi anni ha commesso molti errori. Non solo aver fatto crescere troppo la banca perdendone il controllo, soprattutto nelle terre più lontane, ma anche aver strapagato alcune acquisizioni, come ad esempio Capitalia, per la quale versò 21 miliardi, una cifra che se rapportata al valore attuale del gruppo, 37 miliardi, appare spropositata. Scelte che in un momento di mercati finanziari altalenanti hanno fatto precipitare la quotazione di Unicredit sotto i due euro, contro gli otto di pochi anni fa, e hanno spinto Profumo a varare due aumenti di capitale in due anni. Probabilmente, se ne avesse avuto il tempo, avrebbe fatto passare anche il terzo, una mossa che lo avrebbe reso intoccabile. Le fondazioni, al contrario dei libici, non avrebbero potuto aprire di nuovo il portafogli e così mentre il loro peso sarebbe diminuito, quello dei fondi sovrani arabi sarebbe cresciuto, rendendo lui, di fatto, unico arbitro. L'operazione non è andata in porto e adesso a Profumo non resta che fare la vittima dei partiti. Lui, che fece la coda al gazebo di Prodi e poi si mise in fila, una volta reso debole dal crollo delle Borse, per incontrare il premier e il ministro dell'Economia. Naturalmente i suoi giornali saranno ben contenti di lasciargliela fare. Anzi: ci metteranno del loro, paragonandolo ad Alessandro Magno.

Dai blog