L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Giancarlo Tulliani nega di essere il vero proprietario della casa di Montecarlo. Nega pure il più illustre cognato, il quale fa evocare dossier, documenti falsi e servizi segreti, accreditandosi come vittima di una campagna scandalistica che mira a distruggerlo. Niente di nuovo, si potrebbe dire. Senonché Fini tramite i suoi uomini ha deciso di coinvolgere il Copasir, ovvero il comitato parlamentare per la sicurezza, un organismo presieduto da Massimo D'Alema col compito di vigilare sui complotti ai danni del nostro Paese. Che le vicende immobiliari del presidente della Camera fossero un affare di Stato certo non me lo sarei mai immaginato. Da quel che è dato capire, la mobilitazione dell'importante apparato si è resa necessaria in conseguenza della lettera che ieri abbiamo pubblicato. Ripreso da un giornale di Santo Domingo e finora non smentito, dunque da considerarsi autentico fino a prova contraria, l'atto proverebbe che il cognato di Gianfranco è il proprietario occulto del quartierino monegasco. Tanto è bastato per indurre Carmelo Briguglio, esponente di spicco di Futuro e Libertà, a invocare «l'uso della nostra intelligence a tutela delle massime cariche della Repubblica». Secondo la testa d'uovo finiana, anziché inseguire gli estremisti islamici o anche solo quelli nostrani, gli 007 italiani dovrebbero mettersi alla caccia del sottoscritto e di altri colleghi, pericolosi terroristi armati di penna e taccuino che minacciano la terza carica dello Stato. Ovviamente fa ridere la sola idea: per evitare di chiarire i risvolti della vicenda nel principato, Fini mette di mezzo James Bond. Comunque, vista la preoccupazione dell'inquilino di Montecitorio, voglio tranquillizzarlo. Qui a Libero non si nasconde nessun agente segreto deviato, né sotto né sopra la scrivania. Non ci sono carte false, né abbiamo l'attitudine a rovistare nella pattumiera per imbastire qualche scaldaletto di fine estate. Siccome conosco il presidente della Camera e lo so sospettoso, temo però che neppure le mie parole bastino a rasserenarlo. Dunque, per dimostrargli che dalle nostre parti non si tirano colpi bassi ma al massimo colpi giornalistici, gli faccio un regalo. Giorni fa si è fatto vivo con me un paparazzo che quest'estate lo ha sorpreso in atteggiamento imbarazzante. Niente di grave s'intende, solo una serie di istantanee senza mutande, che sarebbero manna per alcuni settimanali di gossip, sempre a caccia di immagini pruriginose di personaggi noti. Il fotoreporter, vista l'inchiesta condotta da Libero, ha pensato che fossimo interessati e si è rivolto a me. Confesso che al principio mi sono fregato le mani e sono stato tentato di pubblicare il servizio: le decine di scatti in mezzo al mare, dopo una discesa negli abissi con la tuta da sub, hanno comunque una loro comicità involontaria che avrei voluto condividere con i lettori. Poi ho immaginato i commenti di Fini, il quale avrebbe parlato di volgarità, dichiarandosi perseguitato a mezzo stampa, così come ha fatto in queste settimane, quando ha usato la famiglia che lui stesso ha messo in mezzo per evitare di rispondere sul caso dell'appartamento di boulevard Princesse Charlotte. Senza dubbio ci avrebbe accusato di avergli messo alle calcagna degli spioni armati di fotocamera al fine di danneggiarlo, evocando la Spectre o peggio. Dunque, preferisco regalargli i ritratti in versione integrale, evitando al presidente della Camera l'imbarazzo di vedersi pubblicato senza veli. Mi limito a riprodurre una sola istantanea, debitamente censurata per dimostrare a chi mi legge che non mi sono inventato niente. Voglio però unire al pacchetto-dono un consiglio a Gianfranco. Invece di sfiorare il ridicolo tirando in ballo storie di dossier e 007, se vuol chiudere la faccenda ha un modo semplicissimo: dica chi c'è dietro le società costituite nei paradisi fiscali. Se né lui né il cognato hanno nulla da nascondere, si decida a parlare. Mi dia retta, caro presidente, vuotare il sacco le conviene, più che riempirlo di balle come quella dei servizi segreti deviati. Qui di deviato c'è solo il buon senso. E non il nostro.