L'Editoriale
di Maurizio Belpietro
Qualche giorno fa, il segugio giudiziario di Repubblica, Giuseppe D'Avanzo, ha pubblicato un lungo articolo dal titolo «Così si muove e colpisce la macchina dei falsi al servizio del Cavaliere». A sottolineare la quantità di cantonate prese dall'inviato di Ezio Mauro nel corso della sua carriera ha già provveduto su Libero Filippo Facci, il quale ha citato le vittime della mitraglia di Largo Fochetti. Vale però la pena di aggiungere una questione rimasta un po' in ombra e che invece dà la misura del tipo con cui abbiamo a che fare. D'Avanzo nella sua lenzuolata cita il caso Telekom Serbia, ovvero quella operazione fatta a metà anni Novanta che portò la Telecom italiana a comprarsi un pezzo della società telefonica controllata da Milosevic, il dittatore comunista responsabile della pulizia etnica nei Balcani. A Palazzo Chigi a quell'epoca c'era Prodi e quando iniziarono a circolare strane voci di tangenti scoppiò uno scandalo che si trascinò per mesi e portò anche ad una commissione d'inchiesta parlamentare. L'affaire poi si spense perché uno strano personaggio iniziò a gettare accuse contro i leader della sinistra, mandando tutto in vacca. Cosa scrive D'Avanzo? Ecco, vedete, quella fu la prova generale di ciò che abbiamo visto poi. Accuse false, montate con l'uso di oscuri personaggi, per colpire avversari politici. Tutto ciò con l'aiuto dei giornali vicini a Berlusconi. Come scoppiò la vicenda Si dà il caso però che la storia non stia affatto così. Innanzi tutto perché le vicende di questi anni, Boffo, Fini e così via si sono rivelate rigorosamente vere e non tarocche. Ma anche perché il caso Telekom Serbia non andò come lo racconta il pistarolo di Repubblica. A innescare lo scandalo non fu il Giornale che allora dirigevo, ma lo stesso D'Avanzo, il quale tace del suo ruolo e soprattutto non rivela ciò che scrisse anni dopo, nell'archiviare la vicenda, il gip Francesco Gianfrotta. «Il presente procedimento penale trasse origine da notizie giornalistiche che, nei primi mesi del 2001, riferivano di episodi di corruzione che avrebbero accompagnato l'acquisto da parte di Telecom Italia Spa di quote della società Telekom Serbia. In particolare sul quotidiano la Repubblica erano apparsi più articoli nei quali si riportavano le dichiarazioni di alcune fonti – alcune delle quali anonime – che avevano dichiarato ai giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo che, in quell'operazione industriale finanziaria, sarebbero state pagate tangenti, senza - peraltro – che venissero precisate né la misura delle stesse e neppure i soggetti destinatari». Scrive più avanti il gip: «Bonini e D'Avanzo non rivelarono le loro fonti. Produssero sì alcuni documenti in loro possesso, ma il tenore di questi ultimi, oltre che il merito delle dichiarazioni da loro rese, offrivano solo in modo generico piste investigative». Chi dunque mise in moto la macchina del fango? Come scrive il gip, tutto cominciò da D'Avanzo e socio e non dal Giornale, che il giudice neppure menziona. E questa pare essere l'opinione anche di Roberto Colaninno, l'azionista di Telecom dell'epoca, il quale in un libro se la prende con il quotidiano di Ezio Mauro, sostenendo di aver maturato la convinzione che le tangenti fossero tutta una montatura. A conferma, il capo della Razza padana giunse a querelare L'espresso, il cugino di Repubblica e non del Giornale, perché scrisse che aveva tentato di nascondere i documenti di Telekom Serbia. Regolamento fra compagni Che ruolo ebbe invece il quotidiano che dirigevo in quella vicenda? Seguì con molta attenzione il lavoro della commissione parlamentare d'inchiesta, dando spazio alle accuse che un certo Igor Marini sollevò contro alcuni esponenti del centrosinistra, come era ovvio che fosse e come fece la gran parte dei giornali, con maggiore o minore enfasi. Ma a pochi giorni dalle rivelazioni, nel pieno di quella che avrebbe dovuto essere la campagna di fango, io personalmente scrissi un editoriale in prima pagina in cui sostenni di non credere a Marini, aggiungendo che ero più propenso a ritenere che fosse un ballista. Con il senno di poi mi sbagliai: non era un venditore di frottole, ma un signore che mirava a confondere le acque. Il caso Telekom Serbia, scoppiato sulle pagine di Repubblica per un regolamento di conti fra compagni di merende, in realtà aveva preso una brutta piega e allora spuntò il supertestimone, che inventando le accuse fece naufragare ogni speranza di capire come fossero andate le cose. Le ragioni per cui un'azienda italiana avesse investito in un Paese ad alta instabilità nessuno fu in grado di chiarirle. Né si comprese perché una società pubblica avesse deciso un'operazione all'estero senza curarsi di avvisare il governo, soprattutto senza comunicare che l'affare si sarebbe concluso in uno Stato appena uscito da una guerra e a forte rischio di cominciarne un'altra. Misteri rimasti oscuri. Ciò che invece rimane non affatto oscuro è il ruolo di Repubblica in quella vicenda. Che ora D'Avanzo cerca di dimenticare. PS. I professionisti dell'insabbiamento pare siano al lavoro anche a Montecarlo. Questa volta ci vogliono far credere che una casa nel Principato costi quanto un bilocale al Lorenteggio. Qui per digerire una simile balla, più che la macchina del fango, ne serve una di calcestruzzo. Anzi, più struzzo che calce.