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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Più si avvicina il giorno del giudizio e più i finiani appaiono incerti. O meglio: la tracotanza è la solita, quella a cui i vari Bocchino, Granata e Briguglio ci hanno abituati in questi mesi. Ma sotto la scorza arrogante si capisce che, mentre chiedono le dimissioni di Berlusconi, un brivido percorre la schiena dei colonnelli di Fini.  Come se sapessero che l'esito della partita è dubbio e nessuno può dire cosa accadrà realmente alla Camera e al Senato il 14 dicembre, quando il presidente del Consiglio richiederà la fiducia. I ducetti di Futuro e Libertà ripetono in coro che il premier non ha più la maggioranza e dunque è giunta l'ora di farsi da parte,  ritirandosi a vita privata, possibilmente all'estero.  Poi però lasciano la porta aperta anche a un finale diverso, con il Cavaliere ancora in sella, oppure sceso da cavallo ma solo per risalirvi con un'altra squadra e un'altra coalizione. Il motivo di tanta incertezza nel procedere è presto detto: temono di essersi infilati in una via senza uscita e provano a limitare i danni, prevedendo la possibilità che le cose non vadano come immaginato. Di sicuro c'è chi in queste settimane ha mentito oppure si è illuso, e non è detto che sia Berlusconi. Ad aver sbagliato i conti o a credere di averli fatti giusti potrebbero essere pure i traditori, i quali, nonostante i tentativi messi in atto nei giorni scorsi per conquistare alla loro causa altri scontenti del Popolo della Libertà, sono sempre fermi alla stessa cifra. Tanto che tra le loro fila ha iniziato a insinuarsi il tarlo del sospetto. Ovvero che la compattezza dimostrata dal PdL e l'ostinazione con cui il premier resiste, respingendo gli inviti alle dimissioni, nascondano una sorpresa: un colpo di scena che, magari per pochi voti, consenta al presidente del Consiglio di rimanere in carica. Un risultato ovviamente mortale per i futuristi e per il loro capo. La maggioranza risicata, seppur non sufficiente per governare, impedirebbe qualsiasi altro gioco, sbarazzando l'orizzonte da scenari tipo governi di unità nazionale o tecnici. Ma di fatto spianerebbe la strada alle elezioni, le quali potrebbero svolgersi all'inizio della primavera. La prospettiva, ovviamente, atterrisce il presidente della Camera e i suoi seguaci, i quali, finché c'è da mostrare i muscoli in tv o sui giornali, non si tirano indietro. Ma appena sentono aria di voto sono colti da tremarella. Nei salotti televisivi e in quelli dei quotidiani, essendo in maggioranza antiberlusconiani, i pretoriani di Fli si sentono a loro agio, ma quando c'è da convincere chi si reca ai seggi perdono tutta l'ostentata baldanza. Si spiega così l'uscita di Fini a “Ballarò”, dove il capo di Futuro e Libertà ha tenuto a precisare che non si alleerà con la sinistra. Una frenata per evitare che l'accusa di collaborazionismo con il Pd e l'Italia dei valori spinga qualche parlamentare a sostenere Berlusconi. Una mossa in extremis. Un trucco delle ultime ore. Peccato che le intese con Bersani e D'Alema siano note. In questi mesi il presidente della Camera ha trescato ripetutamente con la sinistra e lo ha fatto sotto gli occhi di tutti, onorevoli e elettori. Un tradimento  che, se si dovesse votare, l'ex pupillo di Almirante e la sua banda rischiano di pagare caro. Insomma, Berlusconi martedì si gioca tutto. Ma forse, più di lui, se lo gioca Fini.

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