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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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C'è stato un tempo in cui Gianfranco Fini era apprezzato per il suo modo di parlare. Non che dicesse grandi cose, però le diceva molto bene e alla fine gli ascoltatori ne erano soddisfatti. Ieri se qualcuno avesse sentito il presidente della Camera intervistato da Claudio Tito al contrario sarebbe rimasto deluso. Già, perché nella lenzuolata di domande e risposte pubblicata da Repubblica non c'è niente di originale. Non un'idea né una battuta: quello che una volta era l'uomo nero, sul quotidiano di Ezio Mauro si dimostra  semplicemente un'ombra grigia. Intendiamoci,  l'ex leader di Alleanza nazionale una qualche ragione per essere mogio ce l'ha. La botta presa a dicembre è di quelle che lasciano tramortito anche un toro e perciò Fini ha sentito il bisogno di andare a leccarsi le ferite su un atollo indiano sperduto nel mar Arabico. La meditazione però non deve essergli servita a molto se alla fine la sola cosa che ha partorito  è un patto di salvezza nazionale. Uno sconfitto che propone un accordo di pace al vincitore già fa ridere, se per giunta l'idea non è nuova ma copiata da Casini c'è la prova dello stato confusionale in cui è caduto il numero uno di Futuro e libertà. Invece di levarsi di mezzo come farebbe qualsiasi perdente, Fini si propone artefice di una nuova alleanza tra maggioranza e opposizione. Ma lo fa in modo sconclusionato, dicendo tutto e il suo contrario, sia in politica economica che in tema di intese. Alla domanda sulle elezioni  il leader di Fli risponde senza esitazioni che se si votasse lui si presenterebbe abbracciato a Casini, dando vita a una competizione fra tre soggetti, ma poi conferma di essere un convinto sostenitore del sistema bipolare. Tutto ciò, ovviamente, senza cogliere la lieve contraddizione di una corsa a due o a tre. Idee poco chiare le dimostra anche a proposito dell'indebitamento dello Stato, riconoscendo che è necessario ridurre le spese e tenere sotto controllo i conti pubblici e aggiungendo che Tremonti di certo non si diverte a tenere sotto schiaffo i ministri, ma precisando poi che non ci si può dividere tra chi vuole la spesa facile e i rigoristi, come se le due posizioni fossero facilmente conciliabili. Difficile mettere insieme anche la lotta alla precarietà e l'appoggio alla linea di Marchionne che della flessibilità, ingiustamente chiamata precarietà, è diventato un campione. Ma del resto Fini applaude l'accordo di Mirafiori, fatto tra le parti sociali come in ogni parte del mondo accade, e poi si lamenta perché il governo non ci ha messo bocca. Il riscontro definitivo del livello di disorientamento in cui è precipitato il presidente della Camera è però dato dalla risposta alla domanda se egli si senta un uomo di centro o di destra. Fini spiega che i suoi valori restano quelli della destra, ma aggiunge che gli ci vorrebbe un libro per dire cosa si intende oggi per destra, centro e sinistra, perché ormai sono categorie del secolo scorso. Ovviamente avevamo capito che lui ritenesse antiquate certe cose. E avevamo intuito che ormai con l'ex delfino di Almirante orientarsi è difficile. Stabilire dove stia andando non sarebbe possibile nemmeno usando una bussola. Anche perché, a forza di passare da destra a sinistra, convinto di stare al centro, alla fine non lo sa neanche lui.

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