L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Anni fa mi parlarono di un sogno che Gianfranco Fini coltivava in segreto: liberarsi per sempre di tutti i camerati amici suoi, seppellendo insieme a loro il passato di giovane militante fascista. Avendo di sé un alto concetto ed essendo già allora persuaso di essere destinato ad alti incarichi, il capo di Alleanza nazionale riteneva che le camicie nere con cui era cresciuto fossero solo d'intralcio e ogni volta che gli portavano i sondaggi sul suo gradimento fra gli italiani, il desiderio di salutare tutti e di voltare le spalle agli ex missini si faceva dunque più forte. Della malcelata sopportazione nei confronti dei suoi si ebbe prova ai tempi del complottino della Caffetteria, un bar di Roma dove La Russa, Gasparri e Matteoli si fecero beccare a sparlare del gran capo. Come fossero stati dei Co.co.co. furono messi alla porta in men che non si dica, senza neppure la convocazione degli organi dirigenti, come invece sarebbe stato di regola. In quel caso Fini si comportò da padrone assoluto del partito, con in più la soddisfazione di togliersi dai piedi chi nella sua testa era d'ingombro ai suoi piani. Questo sentimento di puro fastidio verso i camerati che lo hanno servito, onorato ed eletto per più di trent'anni mi è tornato in mente ieri, leggendo di come ha ripagato alcuni dei suoi più fedeli servitori, cioè quei «fillini» che pur non essendo antiberlusconiani lo sono diventati per forza, sostenendolo nella sua guerra personale contro Berlusconi. Invece di ringraziarli, di riconoscere la lealtà di Urso, Viespoli e degli altri, Gianfranco domenica li ha semplicemente presi a scarpate in faccia, nominando per convenienza il più feroce dei suoi scherani, ossia Italo Bocchino, uno che al pari di lui, pur non avendola, si è montato la testa. Dopo aver dato la sua parola che i moderati sarebbero stati rappresentati negli organi dirigenti del nascente partito, il presidente della Camera se l'è ripresa appena Urso e gli altri si sono allontanati. Uno scherzo da prete, anzi da pretino com'è Fini. Un furbino dall'aria compunta di chi è sempre in ordine e rispetta le regole. Ma appena l'interlocutore gira le spalle, l'uomo ammodino torna quello che è: un despota che decide ogni cosa senza consultare nessuno se non lo specchio. Altro che dibattito interno, altro che democrazia. Fli è peggio della caserma del Popolo della Libertà: rischia di essere un bunker. Ciò che invocava per sé, rinfacciando a Berlusconi di decidere come un monarca, il presidente della Camera non lo concede agli altri. Sicché domenica ha annunciato una direzione di ragazzini: così nessuno gli farà ombra. Per questo al posto di un segretario ha nominato un esecutore: in tal modo potrà tenersi la poltrona di Montecitorio. A forza di perdere i pezzi e di cancellare le tracce del proprio passato, Fini confermerà le preoccupazioni di Sofia Ventura, la professoressa che in principio gli ha dato lezioni di antiberlusconismo, e invece di un partito si troverà alla guida di un partitino dello zero virgola. Già ora è sulla buona strada, con appena il 3 per cento, ma con un po' di insistenza il presidente della Camera può far di meglio, liberandosi di tutti i vecchi commilitoni. Così, senza missini, aennini e fillini, si scoprirà chi è davvero Fini. Cioè il nulla.