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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Non so se festeggerà il compleanno: non credo perché non ha nulla da celebrare se non un anno trascorso inutilmente. Ma se entro sabato non interverranno fatti nuovi, di certo l'anniversario lo farà da solo nella sua villa di d'Ayas, fra le montagne della Val d'Aosta, in cui ha vissuto murato vivo gli ultimi dieci mesi. I due precedenti invece li aveva passati a Rebibbia, dentro una cella in cui era stato sbattuto per ordine di giudice della Capitale. La storia di Silvio Scaglia, il manager che fondò Fastweb per poi venderla agli svizzeri ricavandone un pacco di milioni di euro, è la più kafkiana che mi sia capitato di sentire negli ultimi anni, oltre che la più incredibile. Da piccolo genio che crea una fortuna stimata in un miliardo di dollari a grande canaglia di una truffa da alcune decine di milioni: una parabola in appena 52 anni di vita. Il problema è che nessuno capisce come sia scattata questa gigantesca ruberia. Né come si sostanzi. O meglio: si intuisce che qualcuno ha trovato il modo di fare un sacco di quattrini approfittando della normativa fiscale sulle chiamate telefoniche, ma non si riesce a cogliere il nesso tra la rapina e Scaglia. Già, perché il nodo è tutto qui. Il presunto grande truffatore sta dentro da un anno, senza poter parlare con nessuno, nemmeno con i familiari e senza potersi neppure avvicinare alle finestre di casa sua o lasciarle aperte, ma del bottino che avrebbe accumulato e messo da parte non c'è traccia. Niente conti esteri se non quelli ufficiali delle sue società, niente tesoretti nascosti nei paradisi fiscali, niente patrimoni illeciti sotto il letto. Nessuna prova che a lui fosse noto il raggiro né che conoscesse gli autori della frode. Insomma niente di niente, se non l'unica colpa di aver venduto traffico telefonico come qualsiasi gestore fa, essendo quella la missione dichiarata e perfettamente legale di ogni compagnia telefonica. Praticamente l'unica responsabilità è quella di aver fatturato delle chiamate a signori che poi sulle stesse non hanno pagato le tasse e per questo il fondatore di Fastweb è finito nei guai, trattato peggio di un capomafia. Ora, io non sono l'avvocato difensore di Scaglia, che fra l'altro non conosco, e pur avendo la sensazione che l'impianto accusatorio contro di lui faccia acqua da tutte le parti, non voglio dire che sia candido come un agnellino e non abbia compiuto qualche errore. Quando si ha a che fare con le norme fiscali, essendo quelle italiane più indecifrabili di un rebus, gli sbagli sono sempre in agguato. La questione è diversa: c'è proprio bisogno di tenere agli arresti un manager che pur essendo all'estero appena è stato raggiunto dall'avviso di custodia cautelare è rientrato in patria e si è consegnato ai carabinieri? Scaglia è forse più pericoloso di tanti criminali che invece vengono rimessi in libertà una settimana dopo essere stati fermati? In fondo, a differenza degli ubriachi che vengono rilasciati appena hanno sterminato una famiglia con l'auto, non può tornare a commettere i reati che gli vengono contestati, perché da anni non è più proprietario di una compagnia telefonica e avendola venduta non può nemmeno inquinare le prove. Se dunque non c'è pericolo di fuga - perché si è consegnato spontaneamente - e non c'è rischio che rifaccia o cancelli le cose di cui è accusato, perché gli è stato fatto scontare un anno di carcere preventivo, ancorché una parte ai domiciliari ma con l'obbligo di vivere da solo? Ribadisco: non ho mai incontrato Scaglia in vita mia e dunque non scrivo di lui per amicizia o simpatia personale. Me ne occupo perché dal giorno in cui è stato arrestato mi frulla in testa una domanda: ma quale imprenditore accetterà di investire in questo Paese se, prima ancora che sia dimostrata una sua responsabilità, viene “condannato” a scontare un anno di custodia cautelare? Chi accetterà di rischiare la galera preventiva in caso di indagine fiscale? Scaglia è imprenditore conosciuto nel mondo, ha società a Londra, in Cina e in Sud America e credo che non ci fosse modo migliore di arrestarlo per far sapere agli investitori esteri che è meglio girare al largo dall'Italia. Se poi a quegli investitori capitasse di leggere la requisitoria con cui il procuratore generale del Tribunale di Milano ieri ha chiesto la condanna di un onorevole del PdL, non concedendogli le attenuanti previste dalla legge perché benestante e istruito, c'è da esser certi che ogni cosa farebbero tranne che mettere soldi in Italia. Come si fa infatti a fidarsi di un Paese dove i cittadini sono tutti in libertà vigilata e l'essere ricco è considerata un'aggravante? Meglio andare in altri posti, che magari non saranno la culla del diritto, ma dove almeno il diritto delle persone non è stato ucciso nella culla.

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