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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Andrea Tempestini
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Una mattina ci si alza e si scopre che il proprio Paese è in guerra. Già, guerra: una parola cui gli italiani non sono più abituati e faticano a digerirne il significato. Il penultimo a pronunciarla fu Benito Mussolini arringando la folla esultante dal fatidico balcone di palazzo Venezia, piazza omonima, Roma. L'ultimo fu il maresciallo Badoglio, con toni dimessi, annunciando ai connazionali illusi dall'armistizio che il conflitto continuava. Si dimenticò di precisare contro e a fianco di chi, ma questi sono dettagli. Sta di fatto che la guerra seguitò a uccidere, anche di fame, per altri due anni. Dirimere certi contenziosi richiede tempo. Stavolta, abolita l'enfasi in voga nella prima metà del '900, la dichiarazione di guerra (a Gheddafi) è stata data con burocratico distacco e malinconica rassegnazione: ci tocca andare in Libia - ha detto Silvio Berlusconi - perché ci vanno la Francia, l'Inghilterra, insomma la Nato, e non possiamo sottrarci agli impegni assunti dagli alleati: armiamoci e partite. Nella voce del premier non c'erano né entusiasmo né fierezza, semmai preoccupazione per i soldati che andranno in battaglia: «Ne sono morti tanti in giro per il mondo, temo che la lista si allunghi». Anche se i suoi detrattori lo hanno spesso definito dittatore, tiranno, il Cavaliere nei panni del condottiero non è a proprio agio. Mi sbaglierò, ma sarà pentito di aver apposto la sua firma in calce al documento che autorizza la spedizione in Cirenaica. Ma ormai è tardi per i ripensamenti, visto che i cacciabombardieri francesi sono in volo, abbiamo udito lo scoppio delle bombe e vedremo cosa succederà. Ciascuno immagina ciò che vuole. Noi non siamo ottimisti, ma neppure uccelli del malaugurio, quindi ci asteniamo dalle profezie. Aspettiamo gli eventi. Il solo commento che ci suggerisce la situazione riguarda il presidente del Consiglio che da domani mattina è sotto processo. D'accordo, lui non sarà presente alla udienza numero uno, ma alle prossime dovrà esserci se, come ha detto, è intenzionato a difendersi personalmente. Il processo in questione è quello in cui Berlusconi è imputato per la storia dell'avvocato Mills, su cui sono stati scritti centinaia di articoli. Tra meno di un mese comincerà un altro processo, il più scabroso della serie, il più atteso, e mi riferisco alla vicenda Ruby Rubacuori. Più avanti scatteranno altri giudizi: Mediaset, fisco, pasticci vari. Una raffica di procedimenti complessi, in ogni caso per nulla chiari, che costringeranno il premier a dividersi tra Palazzo Chigi e Palazzo di Giustizia. In una situazione normale, egli forse riuscirebbe a sopportare simile overdose di brighe. Ma a tutto questo si è aggiunta la guerra in Libia e, converrete, sarà difficile per il premier passare, magari nella stessa giornata, dagli affari di Stato a quelli di letto, da Gheddafi al bunga bunga, da Sarkozy al tribunale, dalle strategie militari a quelle di Ghedini, in un mescolarsi ubriacante di faccende private e faccende internazionali. L'effetto pochade è assicurato. Sono curioso di constatare come faranno i giornali di mezzo mondo ad accostare le notizie su Berlusconi capo del governo, che si danna l'anima per vincere la guerra, e su Berlusconi tombeur de femmes costretto a rispondere a domande imbarazzanti: quante scopate hai fatto con Ruby, come avvenivano, sono costate care, lei era consenziente, e le altre trentadue ragazze, mentre lei compiva i suoi esercizi con la nipote di Mubarak, collaboravano, guardavano o chiudevano gli occhi? Una scena del genere non è ipotizzabile nemmeno in un film dei fratelli Vanzina. Solo in Italia si pretende compatibile, per un premier, la funzione di guidare un Paese in guerra con il ruolo di imputato del reato di sfruttamento della prostituzione minorile e affini. Mai come in questa circostanza si rimpiange il lodo Alfano in versione originale, cioè lo scudo, che consentiva alle massime cariche istituzionalli di non essere processate fino alla scadenza del mandato. Ancor più rimpianta è l'immunità parlamentare: chi era stato eletto dal popolo rispondeva di eventuali reati soltanto quando non era più deputato o senatore. Abbiamo abolito ogni protezione per chi ci rappresenta (scelto da noi col voto) e adesso assisteremo allo spettacolo grottesco di Berlusconi che interpreta contemporaneamente due personaggi: lo statista in guerra contro Gheddafi e il puttaniere in guerra contro la Boccassini. Ma andate al diavolo, progressisti dei miei stivali. Poi, un giorno ogni mezzo secolo fate i patrioti e vi sdilinquite ad ascoltare l'Inno di Mameli. È così che si ama l'Italia unita?

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