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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
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Anni fa un amico sindacalista mi raccontò come certi sindacati riuscissero a fare soldi sulle spalle dell'Inps. Il sistema, mi spiegò, era tutto incentrato sui patronati, ossia gli enti che si occupano di sbrigare le pratiche pensionistiche e le dichiarazioni dei redditi. Alcuni di questi uffici avevano escogitato di inviare all'istituto previdenziale un certo numero di dichiarazioni sbagliate, in modo che queste venissero respinte. A che pro, vi chiederete. Per lucrare il doppio rimborso. Siccome ogni pratica viene remunerata dall'Inps, il quale ringrazia il sindacato per il lavoro svolto, sbagliando volontariamente i funzionari del patronato avevano trovato il sistema per farsi pagare due volte. L'ingegnoso sistema fu scoperto solo perché qualcuno si chiese come mai in alcune zone ci fossero più rimborsi che pensionati, altrimenti sarebbe continuato anni. E forse in qualche angolo non è mai stato interrotto. Almeno a dar retta a quanto scrive L'Espresso in edicola questa settimana. Secondo un'inchiesta di Stefano Livadiotti, già autore di un fortunato pamphlet sulla casta di Cgil, Cisl e Uil, con i Caf, cioè i centri di assistenza fiscale, alcuni sindacalisti avevano trovato il modo di fare soldi, e tanti, proprio con il sistema dei rimborsi. In pratica venivano stilate domande di assistenza non dovute, per persone residenti all'estero o addirittura morte. Solo per ottenere il compenso dell'Inps per ogni pratica compilata. Una truffa che avrebbe consentito di incassare due milioni di euro di soldi pubblici. I furbetti del sindacato avrebbero compilato migliaia di carte false. Si parla di 70 mila dichiarazioni,  confezionate in gran parte nei Caf del Sud.   La storia sarebbe andata avanti anni senza che nessuno si accorgesse di nulla, fino a che qualcuno dentro l'ente previdenziale si dev'essere svegliato e, impaurito, è corso a denunciare tutto alla Procura. La quale ora ha per le mani un esposto dell'ente che getta inquietanti ombre su uno dei business sindacali più redditizi. L'assistenza fiscale frutta infatti alle Confederazioni 110 milioni di euro l'anno, denaro pubblico che finanzia il sindacato e del quale i vertici di Cgil, Cisl e Uil (come delle altre organizzazioni) non rendono conto in alcun modo. Già, perché il problema principale è che nessuno sa con esattezza quanti e quali siano i soldi del sindacato. Pur dovendo essere regolamentate secondo il dettato della  Costituzione, le confederazioni sono in pratica delle associazioni private, cui però lo Stato riconosce generose sovvenzioni. Senza le quali molto probabilmente gran parte dei funzionari sindacali dovrebbe tornare a lavorare. I governi, in sostanza, foraggiano i dirigenti che li contestano e che si oppongono alle riforme. Scioperi, campagne di protesta e manifestazioni non ci sarebbero senza i soldi del Caf e dei patronati. Un circolo perverso che impedisce ogni cambiamento, come ad esempio quello del mercato del lavoro. Ora si scopre per giunta che una parte di quel denaro donato annualmente dallo Stato non era dovuto. Anzi, era frutto di una truffa. Non solo: veniamo pure a sapere, tramite una denuncia della confederazione autonoma Confsal, che quasi quattro milioni di tessere di iscrizione alle varie sigle sindacali sarebbero fasulle. Motivi in più dunque per darci un taglio. di Maurizio Belpietro

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