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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Conosco Giuliano Pisapia da molti anni. Il primo incontro credo risalga ai tempi dell'Indipendente, quotidiano corsaro che nei primi anni Novanta raccontò senza pregiudizi l'avanzata della Lega e senza reticenze la fine della prima Repubblica. Il futuro sindaco di Milano all'epoca era un semplice avvocato con idee di sinistra e un ottimo nome, quello del padre, penalista di fama nazionale e tra gli ispiratori del nuovo codice di procedura penale. Sin dall'inizio, Giuliano si dimostrò un tipo mite e tollerante. Non era il classico reduce del Sessantotto, rimasto estremista anche una volta indossati gli abiti del professionista borghese. Ovviamente era un signore con idee radicali molto marcate, ma era disposto al confronto e al dialogo. E su certe questioni era lontano anni luce dai suoi compagni, in particolare sulla giustizia. A differenza di certi esponenti della sinistra forcaiola, Pisapia era un garantista vero, che non amava assolutamente gli eccessi delle Procure. Per questo, anni dopo, mi scappò di scrivere che con lui Silvio Berlusconi avrebbe trovato il miglior ministro della Giustizia su piazza, competente e per niente succube dei pm. Di lui si parlò come di un possibile Guardasigilli nei governi di sinistra, ma credo che i primi a non volerlo siano stati i magistrati. Se oggi ricordo tutto questo è perché l'avvocato di Rifondazione che conoscevo io non esiste più. O meglio: esiste, ma mi è impossibile riconoscerlo. Da quando è entrato a Palazzo Marino, il professionista tollerante e ragionevole incontrato vent'anni fa ha lasciato il posto a un gerarchetto insofferente alle critiche, che si circonda solo di chi la pensa come lui, reagendo con impazienza alle domande che lo mettono in difficoltà. Mesi fa praticamente allontanò una giornalista che lo incalzava sulle contestazioni a Podestà e appena arrivato fece piazza pulita di tutti i dirigenti trovati per installare in Comune i suoi uomini. Della scarsa sopportazione nei confronti di chi non appartenga alla sua stessa parrocchia rossa, ieri Pisapia ha dato una nuova prova. I suoi uffici si sono infatti incaricati di far sapere che il sindaco ha querelato Libero, colpevole di aver pubblicato una serie di «titoli, articoli e lettere titolate in maniera gravemente diffamatoria». La nota del Comune non specifica quali siano i contenuti che hanno fatto saltare la mosca al naso al primo cittadino. L'unico riferimento citato è al titolo di una lettera apparsa quasi due mesi fa, in occasione della morte dell'agente della Polizia municipale Nicolò Savarino, di cui Pisapia veniva accusato di essere responsabile per la sua politica nei confronti dei rom. Una critica politica, poco più di un francobollo pubblicato a pagina 40 dell'edizione milanese. Ma tanto è bastato per far imbufalire il sindaco, il quale, rimessa la toga da avvocato, invece di mandare una rettifica come si usa in questi casi, ha adito le vie legali. Al di là dell'episodio, che al momento opportuno sarà affare della magistratura, pare di capire che a Pisapia non piaccia in genere il tono degli articoli di Libero che lo riguardano. Non sono fatti o circostanze a essere contestati, ma, nel suo insieme, il modo in cui viene presentato il suo operato da sindaco. Per questo Giuliano il tollerante e libertario avrebbe predisposto iniziative giudiziarie in sede penale e civile. Ovviamente non senza aver premesso che egli rimane uno strenuo e convinto difensore della libertà di stampa e del diritto di critica, anche aspra. Sarà. Ma a noi il sindaco di Milano sembra sempre più simile a D'Alema e Fini, gente dalla querela facile, che i giornalisti vorrebbe spedirli volentieri a quel paese, al punto che l'ex segretario dei Ds una volta si lasciò scappare una frase di Goebbels: «Quando sento parlare di giornalisti metto mano alla pistola». Ovviamente la metamorfosi di Pisapia ci dispiace, più dal lato umano che da quello politico. Vedere un uomo partito promettendo di far sorridere Milano incarognirsi in pochi mesi è un brutto spettacolo.  Un sindaco che non ha nulla da dire quando i No Tav assaltano una redazione e apre bocca solo per farla chiudere ai giornalisti che non gli fanno soffietti, non fa sorridere, fa piangere. Per questa ragione ci permettiamo di lanciare un appello. Giuliano, torna in te. Così finisci come Rutelli: il sindaco che passerà alla storia più per il numero di querele che per quel che ha fatto.          di Maurizio Belpietro

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