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Zelensky stride col cazzeggio di Sanremo, me se fermiamo lui fermiamo tutti

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Amadeus e Zelensky Foto:  Amadeus e Zelensky
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Che poi, se proprio vogliamo, il faccione di Zelensky a riempire il palco dell'Ariston nella finale del prossimo 11 febbraio (dopo mezzanotte), be’, lo volevano in pochi.
Dicono che Amadeus se lo sia trovato come pacchetto regalo da Bruno Vespa. E, a quel punto, pareva scortese dire al Volodymyr in mimetica che non ci fosse più posto a tavola. Specie se la tavola è uno show musicale da 10 milioni e passa di spettatori, e tu, l’aggredito, vorresti offrire un vibrato pippone contro la guerra.
Detto ciò, oggi la fronda dei «No Zelensky al Festival di Sanremo» s’ingrossa e il presidente ucraino viene paradossalmente trattato come un invasore (lui!). E i grillini e i putinani d’Italia con Di Battista che lascia le sue partite di padel si preparano a un controfestival, al grido di «No alla propaganda di morte in tv». E molti s’indignano o fingono di farlo, attraverso attacchi assortiti alla Nato, chiedendosi «che cavolo c’entra Zelensky con Sanremo?». Che, poi, il dubbio non è peregrino. Dal servizio in posa con la moglie sulla copertina di Vogue all’ubiquità sugli schermi dell’Onu mentre chiede all’Occidente egoista nuovi Leopard e batterie antiaeree, la parabola dell’ex attore fattosi premier si è stinta un po’ nel narcisismo. Ma sì. Giusto.
Strappiamo via il giullare da quel palcoscenico fiorito. No alla politica in riviera. Mica siamo alla consegna dei Grammy Awards (dove il presidente, tra l’altro, s’è palesato). Eppure.

TUTTI GLI ALTRI Eppure, se vietiamo Zelensky al Festival, in fondo dovremmo anche ripudiare tutti gli altri. Perché, a ben vedere, lì la politica ha spesso fatto capolino. Tv Talk, il programma Rai di analisi del piccolo schermo lo ha ben ricordato in questi giorni. Il democristianone Pippo Baudo, nel 1984, fece salire sul palco i metalmeccanici dell’Italsider contro la chiusura dello stabilimento; e l’anno dopo sventò il leggendario tentativo di suicidio del disoccupato dalla balaustra, roba ben oltre il reddito di cittadinanza. Nel 1999 Fabio Fazio portò Mikhail Gorbaciov e signora – ben pagati- a rimarcare la nostalgia della Perestrojka, la più grande svolta del Novecento.
Nel 2000 Jovanotti con Carlinhos Brown chiese, rappando, di «cancellare il debito», ottenendo udienza dall’allora premier D’Alema. Nel 2016 tutti gli artisti, attraverso proclami o semplici nastri arcobaleno al microfono, spinsero per la volata alla Legge Cirinnà sulle unioni civili. La nostra memoria vaga nell’immemorabile.
Nel 1995 si ricorda una Sabina Guzzanti pepatissima antiberlusconiana che col suo gruppo Riserva Indiana inspiegabilmente piazzato in gara nella “sezione campioni”, aveva richiamato in servizio molti militanti a sinistra da Nichi Vendola, a Daria Bignardi e Mario Capanna; e li aveva sbrigliati in Troppo sole, canzone-protesta a sfondo generico-ecologista di stampo alla Latouche e grillino prima dei grillini. Uno spettacolo tutt’altro che indimenticabile. E, infatti, il carrozzone sanremese se ne dimenticò. Ma fischi, urla, appelli, condanne, pantomime all’insegna dell’impegno civile hanno sempre accompagnato le canzoni. Anzi, a volte le canzoni stesse hanno fatto politica, come nel caso del rapper Junior Cally redattore d’un testo d’attacco contro sia Renzi che Salvini.

E che dire del 2020, edizione in cui una polemicissima Rula Jebreal- ora spara a palle incatenate contro il centrodestra al governo, ma anche prima non scherzava- si produsse in un j’accuse sul tema della violenza contro le donne? E come commentare, ancora, il Sanremo dell’anno scorso, quando, di fatto, la politica irruppe portando davanti alle telecamere Roberto Saviano uno dei commentatori più schierati e faziosi su piazza?
Saviano non era ancora sotto processo per aver vilipeso la Meloni; ma diede il suo particolare tocco al racconto, peraltro sentito, della Strage di Capaci. Senza citare i monologhi del passato (spesso fanno parte delle performance dei comici) o quelli del futuro (non oso pensare quale discorso sull’antirazzismo gli autori metteranno in bocca, alla pallavolista Paola Egonu) la politica scorreva sempre sotto la pelle del Festival. E noi giornalisti- confessiamolo- ci eccitavamo.

CAOS AGLI OSCAR A metà degli anni 2000, il clou fu l’edizione in cui trapelò la notizia dell’arrivo all’Ariston del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Le grandi testate giornalistiche rimodularono i loro inviati al fronte sanremese, mandandovi le grandi firme del politico. E quegl’inviati, all’astuto forfeit del Berlusca si trovarono spaesati a Sanremo come in guerra a Saigon. In realtà, i larghi palcoscenici dello spettacolo sono da sempre megafono della politica; basti pensare alle varie notti degli Oscar: Jane Fonda antnixoniana; Marlon Brando rifiutante il premio a favore della causa pellerossa; l’iraniano Asghar Farhadi in polemica con Trump; Jared Leto contro le forze russe in Crimea. Certo, Zelensky è un elemento stridente nel cazzeggio di Sanremo. Ma se fermiamo lui, in futuro dovremo fermare tutti.

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