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Mario, il professor SmontaItalia

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Non sono contrario alla vendita degli immobili ma senza tagli alla spesa ci troveremo al punto di prima, solo più poveri. Purtroppo finora il governo ha dormito

Lucia Esposito
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Mi scrive un lettore di Brescia: «Caro direttore, lei non teme che la “dismissione” dei beni di Stato rappresenti una calamità? Ci pensi bene: trascuriamo di intervenire sulla spesa pubblica e vendiamo gli immobili. In tal modo non avremo più i beni materiali ma ci resteranno gli sprechi. Se consideriamo l'efficienza della Amministrazione dello Stato e l'etica cristallina di una parte della nostra classe politica, personalmente avverto un brivido alla schiena».  Difficile dargli torto. Anzi: devo confessare che anch'io, dopo aver letto le dichiarazioni del presidente del Consiglio a proposito della vendita dei beni di Stato, mi sono preoccupato. Non già perché io voglia conservare caserme ed edifici sfitti nel centro delle città. Lo Stato e le pubbliche amministrazioni hanno una quantità di beni che, se messi a reddito o ceduti, ci consentirebbero di ridurre il debito di un bel po'. Il problema è come queste cessioni verranno fatte e, ancor peggio, che saranno eseguite senza metter mano alle cesoie di cui ci sarebbe bisogno per dare una sfoltita alla spesa pubblica. Non so di chi sia l'immagine, ma tempo fa, quando Monti varò la manovra denominata pomposamente SalvaItalia, ci fu chi paragonò il provvedimento al riempimento di un secchio bucato: per quanta acqua ci metti, alla fine se ne va tutta e dovrai rimetterne altra. Ecco, la mia preoccupazione è la stessa del lettore lombardo. Se prima non si riducono la spesa e gli sprechi che ci hanno portato ad avere uno dei debiti più elevati d'Europa, alzare le tasse o vendere i palazzi non servirà a farci stare meglio. Alla lunga ci ritroveremo con gli stessi problemi  ma solo un po' più poveri. Io non sono contrario alle cessioni della nostra argenteria. L'ho scritto più volte: lo Stato possiede una quantità di edifici che stanno andando in malora e dunque sarebbe meglio liberarsene facendo cassa. Ma se l'operazione non è accompagnata da un bel taglio allo stile di vita sprecone dell'Italia, non cambierà nulla, anzi, la situazione potrebbe peggiorare. Né mi fanno sentire meglio le anticipazioni sui ritocchi alla spesa messi a punto da Enrico Bondi. L'ex salvatore della Parmalat è un manager con i fiocchi, che sa come far ripartire un'azienda. Ma un conto è operare in una spa, un altro è mettere in riga uno Stato. Finora, da quel che si è capito, più che una spending review (ma perché continuano a chiamarla così invece che con il suo vero nome: tagli alla spesa? Mistero) è una politica di buon senso e di risparmio. Accorpare le spese, concentrare le stazioni dei carabinieri, ridurre le auto blu, limitare i consumi energetici. Tutte cose giuste e apprezzabili, ma nessuna misura fondamentale: qualche soldo in questo modo lo si recupererà, ma non quelli che servono a farci tornare in equilibrio con i conti. Non solo: paradossalmente Monti e i suoi ministri stanno smontando le poche cose buone che il precedente governo aveva fatto e che adesso, in un momento di crisi, avrebbero potuto cominciare a dare i primi frutti. Via il federalismo, soprattutto nella parte che imponeva costi standard alla sanità, uno dei capitoli di spesa più costosi di tutto il bilancio statale. Via la riforma Brunetta, che fissava criteri rigidi come una parte di stipendio degli statali legata alla produttività individuale. Via pure la riforma dell'Università, in particolare quelle norme con cui si imponeva il ricambio ai vertici degli atenei e un concorso nazionale al posto di quelli locali che si possono manipolare. Via anche, con la riforma del mercato del lavoro, la legge Biagi, che nei dieci anni passati aveva favorito l'assunzione dei giovani, anche se a tempo. Impegnato com'è a risparmiare e a far crescere l'Italia, Il Grigiocrate - così hanno soprannominato Monti gli autori di un libro di recente uscita, subito ripresi dal Financial Times Deutschland -  cancella le poche norme che avrebbero potuto dargli una mano e, come i nobili di famiglie decadute, vende i mobili e i quadri sperando di tirare a campare, ma senza decidersi a cambiare vita. Per questo a me, più che SalvaItalia, la sua manovra sembra SmontaItalia. di Maurizio Belpietro           

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