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Vittorio Feltri, passione privata: "Chi educa un cavallo, educa se stesso"

Giulio Bucchi
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Molta gente ha paura dei cavalli, non avendone dimestichezza. In effetti quando da inesperti ci si avvicina ad uno di questi soggetti conviene essere prudenti e attenersi a talune regole. Tanto per cominciare, è buona norma accarezzare l' animale sul dorso per fargli capire che non si nutrono intenzioni cattive. Se desideri porgergli una mela o una carota, occorre aprire completamente la mano onde evitare che lui, nell' intento di afferrare il "premio", addenti anche le dita. Cosa poco gradevole perché gli equini hanno una bocca di ferro con la quale stritolano ogni cosa, compresi l' indice e il medio, e talvolta pure il pollice. Il cavallo riconosce gli amici dai nemici. Quindi non bisogna inimicarselo. Per imparare a montare serve più sensibilità che intelligenza. Il cavallo in natura è una preda che si difende nel branco, tuttavia anche qualora viva nel box mantiene l' attitudine a fuggire alla prima minaccia vera o presunta. Pertanto, mai spaventarlo, bensì è indispensabile rasserenarlo. Una volta stabilito un buon rapporto con l' equino, si può salirgli sulla schiena con dolcezza, dandogli la sensazione che non ti interessa dominarlo ma riceverne la collaborazione. Urge un maestro che ti insegni i rudimenti: battere la sella, usare con garbo le redini, cambiare galoppo - da destra a sinistra e viceversa - . Operazioni più facili da eseguire che da descrivere. Questo il primo approccio. Una volta ottenuto un minimo di confidenza con il quadrupede tutto diventa più semplice benché sia indispensabile molta attenzione. Il cavallo si impaurisce perfino se vede un mozzicone di sigaretta a terra. E tende a scappare da quello che considera un pericolo. È utile quietarlo con gesti non bruschi, cosicché lui si calma subito, e sta ai tuoi ordini come un agnellino. Una sera ero a cena con un generale dei carabinieri esperto di equitazione, il quale dichiarò che gli equini sostanzialmente sono stupidi. Gli risposi sorridendo che forse sono tali nel comportamento, però sempre meno stupidi di chi li monta pensando siano macchine e li utilizzano quali mezzi meccanici. Invece sono esseri viventi, legati all' uomo che hanno liberato dalla stanzialità delle caverne consentendogli di conquistare il mondo. Segnalo in proposito un fatto: sino al termine dell' Ottocento gli unici veicoli a disposizione dell' umanità erano a trazione animale, inclusi i tram. Ciò consente di affermare che il progresso nostro è dipeso per millenni da vari destrieri. Solo gli ignoranti e i buzzurri non lo sanno. La nostra storia è parallela a quella del cavallo. Ecco il motivo per cui non mi limito ad amarlo: lo ringrazio e gli rendo onore. Esso, in cambio di una manciatella di fieno e un ruvido ricovero notturno, ci ha aiutato per secoli e secoli, e quando era sfinito i nostri avi ne facevano crudelmente bistecche. Confesso imbarazzato: non si uccide una bestia che ti è stata a fianco gratis per una vita con spirito collaborativo e lavorando sodo. Da bambino, ho visto tanti carrettieri che facevano schioccare la frusta, producendo un rumore secco e sinistro. Io ne soffrivo e ho imparato a bestemmiare: colpa loro. Da ragazzo andavo ospite di uno zio, Ernesto, che amministrava un feudo in Molise, zona Guardialfiera, lungo il Biferno, il quale aveva due cavalli. All' epoca al Sud non esistevano automobili. E lui andava in giro a sella o col biroccio. Mi portava sempre con sé e mi trasmise pure l' arte della monta. La sera allorché si trattava di abbeverare gli animali, provvedevo io alla bisogna, e fu in quelle circostanze che maturai nei loro confronti un sentimento forte. Da grande, non appena ebbi due soldi, comprai un puledro che trattavo quale figlio. E decisi di domarlo ai fini di governarlo tra le gambe, comandandolo come fosse un veterano. Non sapevo bene con quale tecnica avrei ottenuto il mio scopo. Lo legai alla longhina e lo feci trottare un paio d' ore al dì in circolo. Senza mai ricorrere alla frusta, ovviamente. Gli inflissi il fascione, una sorta di sottopancia, onde abituarlo ad avere intorno al corpo qualcosa di estraneo. Non si allarmò mai, non si ribellò. Si adattava alla mia volontà come un cucciolo volonteroso. Trascorsi alcuni giorni di esercizi, lo vestii all' inglese di tutto punto, e gli saltai con riguardo in groppa. Non fece una piega. Mi aveva accettato. Uscimmo in campagna, percorremmo viottoli, saltammo due o tre fossi. E da allora non ci siamo più separati. Tra noi è stato un amore e scriverne, ora che lui è morto, mi dilania il cuore. Gente, andate a cavallo, la vostra esistenza sarà più interessante.  di Vittorio Feltri

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