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Zingaretti e Di Maio, il sospetto di Besana: "Non è che ci vietano di votare?"

Renato Besana
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E per cortesia abbiate almeno il pudore di non continuare a raccontarci che Di Maio e Zingaretti siano stati d'improvviso travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto. L'accordo tra democrat e pentastellati risale almeno alla campagna elettorale per le europee dello scorso anno, nel momento in cui i sondaggi delinearono la distribuzione delle forze in campo. Il governo che avrebbe preso nome da Ursula von der Leyen si decise a Bruxelles, ma le intese che ne consentirono la nascita erano state strette da tempo a Roma. Il solo a non capirlo fu Salvini, che cadde con sorprendente ingenuità nei tranelli disseminati sul suo cammino affinché si togliesse dai piedi, nonostante che Libero avesse invano scritto e riscritto come sarebbe andata a finire. Il lungo intervallo di tempo tra il momento in cui si prende una decisione e quello in cui la si rende pubblica risponde alla necessità di far digerire ai peones, ai quadri periferici e ai propri elettori il cambio di rotta. Meglio arrivarci a piccoli passi, per ridurre al minimo mugugni e diserzioni. Quando nacque il Conte 2, l'unico politico di rango a lasciare il Pd fu Carlo Calenda. Tutti gli altri, convinti o no che fossero, applaudirono, bene, bravi bis. La pur tardiva notizia della raggiunta intesa ci consente in ogni caso di chiarire i contorni di alcune vicende tutt' altro che marginali, cominciando dalle amministrative e dalle regionali fissate, col referendum sul taglio dei parlamentari, per il 20 e il 21 settembre, salvo sorprese e/o intese. Alle urne si sarebbe dovuti andare a fine maggio, ma la pandemia impose il rinvio. Agli inizi del mese, in una conferenza Stato-Regioni, i governatori interessati chiesero che si votasse nella prima data utile, il 12 luglio. I tempi tecnici c'erano, la campagna elettorale si sarebbe potuta svolgere in modo soddisfacente, le scuole erano chiuse e non ci sarebbero stati problemi a occuparle per una settimana, tra montaggio e smontaggio dei seggi, scrutini e sanificazione. Le elaborazioni tecnico-scientifiche, poi confermate dai fatti, avevano inoltre previsto che i contagi sarebbero stati in quel mese al minimo. Una proposta sensata, eppure il governo oppose un netto rifiuto. Luca Zaia fiutò la fregatura: «Si vuole sospendere la democrazia», disse chiedendo l'intervento di Mattarella, che non ci fu. Ora ogni tessera del mosaico va a posto. Le sinistre assortite sarebbero uscite con le ossa rotte da un voto a metà luglio. Ma se Pd e M5S avessero fatto fronte comune contro il centrodestra, i loro risultati avrebbero potuto migliorare, in tante realtà locali anche in modo decisivo. L'accordo c'era già, ma in quel momento era conveniente sottacerlo. La data settembrina lasciava il tempo di perfezionare l'accrocchio. Alla Lega, non ha portato fortuna quello con i grillini; speriamo che a loro avvenga lo stesso: in fondo un po' ci spiace che un partito di grande tradizione come il Pd sia finito nella ragnatela dei giacobini alla puttanesca.

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