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Roberto Speranza invita Travaglio che attacca Draghi? Giovanni Sallusti: "Tanto il ministro non paga mai"

Giovanni Sallusti
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Proponiamo al lettore un esperimento mentale. Alla festa della Lega, il direttore di un quotidiano barricadiero di centrodestra sbraita nel microfono che Mario Draghi è «un figlio di papà» che «non capisce un cazzo», tra gli applausi scroscianti dei militanti. Chiaro quel che sarebbe successo, no? Più o meno, la crocifissione politica del segretario Matteo Salvini officiata dall'editorialista collettivo. Invece, questa squallida scena è accaduta davvero, ma con protagonisti Articolo 1 (la scissione dell'atomo di Leu) e il suo "leader", lui, l'Intoccabile, Roberto Speranza. E quindi (quasi) tutti fingono di farsi andare bene l'aggettivo stitico e ritardatario «infelice», riferito alla performance di Travaglio, e passano oltre, ignorando l'elefante nella stanza (come direbbe uno dei padrini di Speranza, Bersani), ovvero il fatto che costui, mentre alla festa del suo partito si insulta gratuitamente Draghi, detiene un ministero doppiamente pesante in era pandemica nel gabinetto presieduto dall'insultato. Del resto, non è la prima volta che il compagno Speranza attraversa indenne tempeste apparentemente letali. Ricordiamo il caso del libro velleitariamente intitolato Perché guariremo e precipitosamente ritirato allo scoppio della seconda ondata, che tra le altre perle conteneva l'affermazione secondo cui il virus rappresentasse per la sinistra «una possibilità per ricostruire un'egemonia culturale su basi nuove». Ci furono poi l'invito a imitare la Ddr con le «segnalazioni» dei vicini sospetti di ospitare non-congiunti, la difesa a oltranza del protocollo «tachipirina e vigile attesa» (che oggi sappiamo spesso abbia significato attesa della terapia intensiva, o peggio), la storiaccia del rapporto dell'Oms che definiva l'Italia impreparata davanti alla pandemia prima pubblicato e poi ritirato, o insabbiato a seconda dei punti di vista. Qualunque polemica, anche la più incendiaria, evapora di fronte alla fattezze rassicuranti, quasi esangui di Roberto Speranza. Qualcuno dice perché l'uomo è stato da subito ministro «in quota Colle», sponsorizzato da quel Sergio Mattarella che lo avrebbe tutelato anche dai repulisti draghiani della stagione giallorossa. Qualcun altro va più a fondo, ripercorre i legami del ragazzo di bottega gauchista con D'Alema e con Romano Prodi (che era con lui sul palco dopo la sparata di Travaglio), fino a farne un punto di riferimento di quella filiera progressista filocinese in corrispondenza d'amorosi sensi col regime di Pechino. Sia come sia, è davvero ora che quest' immunità speciale di cui gode il ministro scrittore mancato cessi. La sinistra che ha in lui il suo ultimo epigono, la sinistra massimalista, perennemente in preda a pulsioni autoritarie, la sinistra odiatrice dell'avversario e tuttora convita che gli italiani vadano (ri)educati, che poi è l'unico vero pericoloso populismo odierno, non c'entra nulla col governo della ricostruzione, della salvezza nazionale, della ripartenza. L'unico impresentabile, checché ne dicano i giornaloni, si chiama Speranza. Sarebbe ora di trarne le dovute conclusioni.

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