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Il solito antifascismo senza autocritica. Questa retorica è ormai insopportabile

Iuri Maria Prado
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Nel Paese che non ha fatto i conti col fascismo, e cioè con sé stesso, i giuramenti antifascisti convincono poco. E meno ancora convince la pretesa che essi siano prestati. Non si tratta, come si vuole da qualche parte, di rendere equanime la richiesta di abiura con il reclamo che essa si completi nella generica dichiarazione anti-totalitaria: si tratta di osservare che la manifestazione antifascista, da noi, sarebbe credibile se assumesse il tono che non assume e se fosse rivolta al fine che non persegue, e cioè il tono dell'auto-denuncia e il fine di riconoscere la colpa nel desiderio di non ricadervi. Ma appunto non è mai così.

La negatoria antifascista per il tramite del giuramento che rinnega il fascismo continua a costituire forse il problema civile più duraturo di questo Paese, un problema che non si rivolve con l'obiezione semplificante, tranquillizzante e falsificante secondo cui l'Italia migliore sarebbe stata antifascista e avrebbe dimostrato la sua alterità mettendo l'antifascismo in Costituzione: che è la retorica insopportabile del settantennio repubblicano pieno di verità neglette che porta dritti ai punti di riferimento fortissimi del progressismo. Sarà noiosetto eccepirlo, ma quando in una società c'è bisogno della prova sacrale, della dimostrazione battesimale per dirsi democraticamente rispettabili, allora significa che molto deboli e pericolanti sono le basi civili di quell'ordinamento.

 

E, per stare al caso, significa che al proprio antifascismo quella società non crede veramente, e tanto meno vi crede quanto più ha bisogno di vederlo "rappresentato", quanto più ha urgenza di veder pubblicamente ripudiato ciò che fa le mostre di contraddirlo, di bestemmiarlo, cioè il simulacro fascista. L'antifascismo del discorso pubblico, l'antifascismo costituzionale, è la malapianta della nostra democrazia bastarda: quella - e non è un caso che non sa riconoscere il riflesso fascista nell'abolizione della povertà, nel villano rifatto che si dice "disponibile" ad ascoltare il Parlamento, nell'istituzione pubblica che non rischiava di diventare bivacco di manipoli solo perché era già la loro reggia.

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