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Mario Draghi "per sempre", tam-tam a palazzo sul nuovo "partito": ecco chi muove i fili, spuntano nomi pensantissimi

 Mario Draghi

Fausto Carioti
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Surreale, ma solo in apparenza: la legislatura finirà tra un anno e mezzo ed ed è già iniziata la spinta per avere Mario Draghi capo del governo dopo le elezioni. Perché il Quirinale è importante, ma vuoi mettere il peso che uno come lui riesce ad avere seduto a palazzo Chigi? Spiega il funzionario di un'importante ambasciata impegnato a sondare i politici italiani: «Per noi un Mattarella bis sarebbe la cosa più sensata. Anche perché l'assetto di potere che è riuscito ad impostare Draghi in questi pochi mesi soddisfa tanti, in Italia, in Europa e non solo. E una volta che hai trovato la formula giusta, Mattarella più Draghi, che fai, smonti tutto?». Insomma: il presidente di Confindustria, chiedendo che Draghi «continui a lungo nella sua attuale esperienza», non ha fatto altro che mettere in piazza ciò di cui si parla dentro ai palazzi romani.

 

 

Andrea Marcucci di Base Riformista, corrente di minoranza del Pd, è uno dei pochi politici che riesce a dirlo senza problemi: «Lo scenario con Draghi a palazzo Chigi anche dopo il 2023 coincide con il desiderio di tanti e, cosa più importante, con l'interesse del Paese». Nell'esercito silenziosamente schierato figurano quasi tutti gli eletti di Forza Italia. "Draghi forever", per loro, rappresenta la soluzione perfetta al vuoto creato dal progressivo ritirarsi di Silvio Berlusconi. Renato Brunetta e gli altri ministri azzurri oggi sono con il premier senza se e senza ma, come lo erano col Cavaliere. Quanto alla Lega, dire che Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti la pensano in modo diverso sul Green pass significa guardare il dito anziché la Luna. La partita vera è proprio sul rapporto futuro con Draghi: il Capitano lo considera una parentesi, almeno nel ruolo di presidente del Consiglio, mentre il ministro parla con la voce degli imprenditori del Nord ed è convinto che un simile capo del governo non possa essere accantonato dopo le elezioni. Soprattutto da parte del centrodestra.

 

 

Non è l'unico, nel Carroccio, a pensarla così. Su posizioni simili si trovano Italia Viva, Marcucci e gli altri moderati del Pd, il gruppetto che fa capo a Carlo Calenda e tutti gli ex forzisti passati con Giovanni Toti e Luigi Brugnaro. Oltre alla metà dei Cinque Stelle guidata da Luigi Di Maio, che anche su Draghi la pensa all'opposto di Giuseppe Conte. E questo per restare dentro al parlamento. Perché fuori, accanto a Confindustria e alle altre associazioni d'impresa, ci sono almeno il Vaticano, la Cisl e la Uil, e oltreconfine le cancellerie europee e il dipartimento di Stato a Washington. È il segno della forza di Draghi, ma anche della debolezza dei partiti. Enrico Letta è un leader mai nato e il suo alleato Conte pare avviato verso un declino precoce. Salvini è ridimensionato dai sondaggi e dalla divisione interna alla Lega e Giorgia Meloni, opponendosi a Draghi e al Green pass, avrà pure aumentato i consensi in certe fasce di elettori, ma si è giocata quello di tutti gli "ambienti" appena citati. Il risultato è che oggi non si vede chi, se non Draghi, possa guidare il governo dopo le elezioni. E in un sistema di obblighi (Pnrr e debito pubblico) e alleanze (Ue, Nato) al quale l'Italia deve rendere contro, non è detto che i voti, ammesso che qualcuno li abbia, bastino a risolvere il problema. 

 

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