Andrea Santangelo ha scritto una breve storia d’Europa attraverso le guerre. Ci scopriamo, grazie a questo contributo, come i veri figli di Marte, soprattutto se si è nati nella pianura padana o al confine franco-belga. Il titolo del saggio è Le vie delle guerre (Il Mulino, pagg. 296) e mostra come l’Europa sia il continente che “vanta”, per così dire, a cagione di Marte, il più alto numero di conflitti. Dalla nascita delle fonti scritte, ossia da circa 5.500 anni, si calcolano circa 14.700 guerre. L’Europa porta ovunque i segni di questo atavismo “marzio” nel suo paesaggio: un transito lungo più di 70 secoli. Non esiste città, borgo o sperduto villaggio europeo che nella sua storia non conti almeno un fatto d’armi e martiri da piangere. Non c’è città, centro urbano, insediamento produttivo, convento o luogo di culto che per cause belliche non sia stato distrutto, o danneggiato, e poi ricostruito almeno una volta. L’abbazia benedettina di Montecassino fu distrutta tra il 577 e il 589 dai longobardi, nell’883 dai saraceni e il 15 febbraio 1944 da un insensato massiccio bombardamento degli Alleati.
UNA COMPAGNA FEDELE
Lo storico inizia la sua narrazione presentando due perenni teatri bellici: la pianura padana e quella franco-belga. Poi, cronologicamente segue le tracce del limes romano: dalla Scozia al Mar Nero. A breve distanza le vie delle guerre arabe: da Andalus a Balarmuh. Infine le guerre moderne, quelle degli Imperi, quelle napoleoniche e le due guerre mondiali. Santangelo fa una narrazione correttissima e il suo sguardo sulle sorti future del Vecchio Continente sono degne di una potente Cassandra. Osserva, infatti: «La società laica, pacifica e ipertecnologizzata del XXI secolo dimentica che solo fino a due generazioni addietro la guerra era una triste quotidianità. I giovani avvertono il conflitto bellico come un fatto estraneo e lontano nel tempo che colpisce solo determinate aree geografiche e che al massimo inficia la nostra bilancia commerciale. Ma in realtà la guerra si ricorda benissimo degli europei, ne è stata “fedele compagna” per millenni e prima o poi tornerà a trovarli, in un modo o nell’altro».
Sebbene le vie delle guerre in Europa siano diventate oggi degli eterni moniti alla stupidità di ogni conflitto e delle potenti attrazioni turistiche, Santangelo vede nubi nere all’orizzonte e, meditando sulle storie belliche del Vecchio Continente, osserva, ad esempio, come nessuno, una decina di anni fa, avrebbe scommesso un centesimo sul ritorno al combattimento nelle trincee come invece sta accadendo sul fronte russo-ucrai no. Si ragionava, all’inizio del millennio, che soltanto la tecnologia fosse l’unico fattore da perseguire per vincere le future guerre. Oggi, invece, è emerso che la geografia, il clima e soprattutto l’uomo sono ancora imprescin dibili. La brace delle vie delle guerre in Europa è sotto la cenere della storia, ma sta aspettando il suo momento per ardere ancora.
Purtroppo.
Eppure le vie delle guerre sono talmente vicine a noi che appare davvero stupido ricominciare a morire in un ennesimo suicidio d’Europa. Per tutti noi, le vie della Prima guerra mondiale sono piuttosto facili da trovare: basta seguire le trincee, quelle vere e proprie ferite inferte alla terra che, dal Mare del Nord fino alla Alpi e ai Balcani, hanno lasciato sul terreno evidenti cicatrici a oltre un secolo di distanza. La lunghezza totale delle trincee scavate (comprensiva di quelle di tutti gli schieramenti) è calcolata in 40.250 km, pari in pratica alla circonferenza della Terra. Oggi, l’aspetto esteriore del panorama della Somme o delle Dolomiti inganna: i luoghi di morte appaiono bellissimi con campi verdi e villaggi pittoreschi che sembrano luoghi mai toccati dalla guerra.
PERCORSI TURISTICI
Addirittura quei percorsi sono messi a sistema e inseriti nell’offerta turistica. Un tipico esempio di progetto di recupero e conservazione della memoria è l’Alta via della Grande guerra della provincia di Vicenza: un itinerario di circa duecento chilometri che collega a piedi quattro sacrari militari. Rammento un racconto di Guy de Maupassant, La pazza. Lo scrittore francese fa rivivere i fantasmi della guerra franco-prussiana del 1870, quando i soldati tedeschi portarono in un bosco una povera donna su un materasso, lasciandola morire sotto la neve. Fu divorata dai lupi e gli uccelli realizzarono i loro nidi con la lana del suo letto strappato.
È il signor Mathieu d’Endolin, nella finzione narrativa, a ricordare quel sinistro aneddoto della guerra, aggiungendo d’aver conservato il triste teschio della donna, facendo voti «affinché i nostri figli non vedano mai più guerre».