Natale è la festa cristiana più importante perché celebra la nascita del Salvatore, del Figlio di Dio, di Dio fattosi uomo. Di Colui attorno a cui ruota la nostra fede, la religione dell’Occidente. Attorno all’evento della Nascita si è costruita la bimillenaria storia della nostra civiltà. Persino le nostre categorie mentali, i concetti con cui giudichiamo il mondo, sono profondamente cristiani (o greco-cristiani).
La realtà semplicemente non avrebbe senso se si reggesse solo su sé stessa, se non rimandasse a qualcosa d’altro da sé, al trascendente. Essa non può perciò essere ridotta ai molteplici significati che le dà il pensiero empirico, di cui quello scientifico è solo una raffinata derivazione. Certo, alla luce della logica comune è assurdo, inspiegabile, che una donna abbia partorito per “immacolata concezione” un bimbo che era in verità Dio, che il trascendente sia entrato nella storia, che l’eterno abbia abbracciato il tempo. E l’assurdo genera meraviglia. Ma non è assurdo e meraviglia, forse, lo stesso esserci, lo stare qui nel mondo? Come ce lo spieghiamo? Come ci spieghiamo l’essere piuttosto che il nulla? Togli l’assurdo, il meraviglioso, il non razionale, e, in un sol colpo, banalizzi la vita ed elimini il cristianesimo. Il filosofo che forse più di tutti ha saputo illustrare questo paradosso è stato il danese Kierkegaard, il quale ha parlato del cristianesimo come “scandalo”, come una continua sfida alla nostra ragione e un continuo salto nell’assurdo.
Il positivismo volgare dei nostri tempi ha pensato invece di ridurre tutto sotto la voce “superstizione”, facendo dei nostri antenati degli ignoranti o dei principianti che credevano in eventi, come la sacra nascita, che l’avvento dell’età della Ragione avrebbe finalmente fatto sparire dalle nostre menti adulte. Che stoltezza e ignoranza quella dei positivisti, piuttosto, immemori delle dotte disquisizioni filosofiche e teologiche che hanno accompagnato la storia cristiana, delle punte altissime di speculazione raggiunte nella scuole medievali. Di fronte ad esse il loro è, esso sì, un pensiero rozzo, banale, elementare.
Ma il positivismo, con il connesso scientismo, è diventato purtroppo l’orizzonte mentale del nostro tempo. È esso che decreta il successo fra gli intellettuali e nell’opinione pubblica, nei salotti alla moda e nelle piazze televisive. Ecco, allora che un teologo come Vito Mancuso può pensare di sciogliere il nodo delle contraddizioni che avvolgono il cristianesimo con un semplice taglio, separando, per poi riunire per mera giustappozione, le figure di Gesù e Cristo (è il titolo del suo ultimo volume appena uscito per Garzanti).
Mente Gesù sarebbe un uomo effettivamente esistito, a cui può applicarsi la ricerca storica, Cristo sarebbe solo una proiezione ideale, un’idea, un modello regolativo. Al mistero della fede, Mancuso oppone una fede senza mistero. Ma un cristianesimo ridotto a etica, buonista, tanto ecumenico da potersi contaminare con ogni umana credenza, ha ancora senso? Occultare con questo sedicente “nuovo cristianesimo” il mistero che ci avvolge, ridurre lo scandalo della vita a routine quotidiana, non ci avvicina certo alla più profonda verità delle cose. Il cristianesimo non è venuto al mondo per rarefarsi nel mainsream o addirittura per confondersi col woke! Quanta più sapienza e amore c’è nel mistero della Nascita e dell’Incarnazione!
Festeggiamo perciò il Santo Natale come sempre si è fatto, senza timore. E non vergogniamoci se ci sembra di non essere à la page perché continuiamo a dire che Gesù è Cristo ed è venuto al mondo per congiungere gli opposti e salvarci.




