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La Germania ci affamama si taglia le tasse

I conti di Berlino a gonfie vele: ridotto il cuneo previdenziale, più soldi nelle buste paga dei tedeschi

Matteo Legnani
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  Anche in Germania, come da noi  si continua a discutere di  pensioni.  A partire dai contributi sulla busta paga necessari per l'equilibrio del sistema previdenza e della  rete sociale a difesa dei redditi dei disoccupati. Ma, rispetto al Belpaese, c'è una bella differenza: le casse previdenziali tedesche, in una situazione di pieno impiego o quasi, scoppiano di salute e di quattrini. Anzi, per rispettare la legge, che impone di abbassare i contributi quando  le riserve delle casse previdenziali superano di una volta e mezza i fondi necessari per assicurare le prestazioni, sarà in pratica inevitabile praticare  un «taglio» delle aliquote sulle buste paga. Il taglio - Di quanto? La matematica suggerisce un taglio dello 0,6% dal 19,6% al 19%, come vorrebbero gli industriali che si ritroveranno così mezzo punto abbondante di competitività in più rispetto ai concorrenti italiani, che già fanno i conti con una fiscalità ben superiore e un costo del  denaro di 5-6 punti percentuali. Il  governo, da quanto si legge sui giornali, sembra più incline a tagliare solo fino al 19,2%, per due ragioni: a gennaio, tanto per cominciare, c'era già stato un taglio dal 19,9 al 19,6%; i sindacati, poi, frenano contro tagli troppo energici cui, negli anni delle vacche magre, potrebbero contrapporsi aumenti indesiderati. Facile che alla fine frau Angela Merkel sceglierà la via mediana: in ogni caso un bel taglio ai contributi per il 213, anno elettorale, è una bella notizia per il governo.  Averne, comunque, di ragioni di conflitto di questo tipo. Le entrate delle casse, quest'anno, registrano una crescita di 4,4 miliardi anche grazie allo spread. Le riserve in cassa raggiungono  la cifra di 29 miliardi di euro, sufficienti a far fronte agli assegni di 20 milioni di pensionati (contro 29 milioni di lavoratori ancora attivi)  per i prossimi 19 mesi, ovvero più di quanto previsto dalla legge. Uno stato di salute così florido che qualcuno, all'interno della Dgb, la potente centrale sindacale, vorrebbe rimettere in discussione la riforma pensionistica votata dal Bundestag con il consenso bipartisan di socialdemocratici e Cdu-Csu, il partito di Angela Merkel.  La questione non è attuale, ripetono maggioranza ed opposizione: di qui al 2030 l'età del ritiro  salirà a 67 anni, mentre l'assegno della pensione pubblica  scenderà dall'attuale 51 al 43 per cento dell'ultimo stipendio. In compenso, torna nei cassetti l'«Iva sociale», cioè il ritocco delle aliquote dal 16 al 19% che doveva finanziare l'agenzia dell'impiego e rafforzare i fondi per i disoccupati. Una scelta che ha una spiegazione precisa: non solo la disoccupazione oltre Reno oscilla sul 5,6% (quattro punti abbondanti sotto la media europea, Italia compresa), ma dal punto di vista della formazione la Germania ha molto più da insegnare ai vicini che non da imparare o da fare.  Primato insuperabile - Anche qui i numeri servono a dare l'idea del primato della Germania. La disoccupazione giovanile è inferiore all'8%, due punti in più della media tedesca ma molto al di sotto di quanto capita nel resto dell'Unione Europea dove i senza lavoro sotto i trent'anni sono almeno tre volte di più. Buona parte del merito va al sistema dell'apprendistato introdotto nel 1969 ma che affonda le radici nelle scuole professionali volute da Bismarck o, ancora più indietro, nelle gilde medioevali.  In sintesi, il meccanismo funziona così: ogni anno le imprese segnalano alla locale Camera di Commercio le figure professionali di cui hanno bisogno.  I corsi - Gli elenchi, compilati in sede locale vengono poi trasmessi al centro dove si traducono in corsi di formazione. Nel 2011 i corsi, che spaziano dalla verniciatura alla produzione di giocattoli in legno, sono stati 344. Tra questi ben 43 sono stati varati negli ultimi dieci anni mentre 171 sono stati modificati in base alle esigenze delle imprese. L'industria dell'auto, in particolare, ha chiesto ed ottenuto di rivedere la formazione di disegnatori e di tecnici da adibire alle elaborazioni cad/cam.  I ragazzi selezionati  partecipano ad un programma di formazione duale: per tre anni si divideranno tra l'aula di scuola (tre volte ogni 15 giorni) e il posto di lavoro dove impareranno gradualmente il mestiere. Al termine della formazione,  verrà loro riconosciuto un diploma con valore in tutto il Paese. Ma, soprattutto, la stragrande maggioranza di loro sarà assunto a pieno titolo. Un sistema che funziona, come dimostrano ancora una volta le cifre: 570 mila giovani  si sono iscritti al   Duales Ausbildungssystem o sistema duale contro  520 mila che hanno scelto l'università. Eppure qualche pecca c'è pure lì:  l'anno scorso, informa il Financial Times, non sono state esaudite 30 mila richieste delle imprese. Il motivo? Troppi giovani hanno scelto impieghi legato al mondo dei media, invece che scegliere la nobile e richiestissima professione di macellaio. Anche oltre Reno c'è un buco, dunque, tra domanda e offerta. Ma averne, di spread così. di Ugo Bertone  

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