Cerca
Cerca
+

Le idee anti-crisi che fanno guadagnare: le storie degli imprenditori che ce l'hanno fatta

Lucia Esposito
  • a
  • a
  • a

La disoccupazione in Italia è al 13 per cento, lo certifica l'Istat. Detto così può sembrare poca cosa, ma se si trasforma la percentuale in un numero assoluto fanno 3,3 milioni di disoccupati, cifra mai vista prima. Se poi si calcola quanti sono i giovani fra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano si supera il 42 per cento. «Un dato sconvolgente», ha commentato il premier da Londra, assicurando che ora il governo comincerà a correre per cambiare la situazione. Come Matteo Renzi intenda cambiare più o meno è noto: è da quando è diventato segretario del Pd che parla di Jobs Act, cioè di atto per il lavoro, ma all'inglese. Finora il lavoro non s'è visto, però i provvedimenti che intende adottare il presidente del Consiglio si sono intravisti. Si tratta di piccole concessioni sui contratti di lavoro, nulla di fondamentale, soprattutto nulla di decisivo per consentire di invertire la rotta. La verità è che se si volessero davvero moltiplicare i posti non ci sarebbe bisogno di nessun Jobs Act: basterebbe liberare le aziende dai mille vincoli burocratici cui sono sottoposte (articolo 18 compreso), premiando le buone idee che fanno guadagnare. Perché anche se il Pil va giù, il debito va su, la disoccupazione sale e l'indice delle agenzie di rating scende, non tutto è perduto. Anzi: ci sono imprese che hanno intuizioni e le sanno far fruttare. Qualche esempio? Pesco a caso un paio di successinella ristretta cerchia di amici che fanno gli imprenditori. Si tratta di aziende che negli ultimi tre anni si sono trovate a fare i conti con la recessione e ne sono uscite meglio di prima. Primo nome, Cruciani. Il marchio è noto: lo era anche tre anni fa per via delle maglie in cachemire, ma ora lo è molto di più e proprio grazie alla crisi. Tutto inizia nel 2011 quando l'azienda di famiglia che confeziona e distribuisce corredi matrimoniali inizia a soffrire. Che si fa? Si sospende la produzione e si mettono le maestranze in cassa integrazione? Piuttosto che mandare la gente a casa a girarsi i pollici e aspettare l'assegno dell'Inps, Luca Caprai si fa venire l'idea dei braccialetti di pizzo (nei corredi si fa un gran uso di merletti e dunque in azienda sono specialisti dei ricami). Detto fatto: i primi vengono messi in vendita d'estate nel negozio di Forte dei Marmi. Nasce così, con il passa parola sulla spiaggia, uno dei successi più incredibili degli ultimi anni. Il macramè da legarsi al polso diventa un must che piace tanto ai vacanzieri della località più in della Versilia, ma finita l'estate la moda non si ferma e i braccialetti Cruciani cominciano ad essere richiesti anche a Milano, Roma, Courmayeur, Sabaudia eccetera. Un fenomeno che dilaga ed esce dai confini nazionali. Mosca, Hong Kong, Tokyo, Madrid, Dubai, New York: i negozi che vendono il pizzo tricolore con la farfallina, i cuoricini e i diamanti Damiani si moltiplicano. E insieme ad essi crescono le idee con cui Luca Caprai cambia ogni volta modelli, disegno, colore, scritta. Così, dalla crisi è nata una opportunità di crescita. Oggi credo che Cruciani abbia triplicato il suo fatturato e nonostante le bellissime maglie di cachemire siano acquistate da una clientela affezionata ho la sensazione che il volume d'affari dei braccialetti superi di molto quello dei golf. Secondo esempio, la storia della Caimi Brevetti. Fondata da Renato Caimi, un dirigente dell'Autobianchi, l'azienda è tra le più conosciute nel settore del design e delle idee. Una delle prime produzioni fu la famosa «schiscetta», ovvero quella specie di scatola-pentolino che nel secolo scorso (e non è un modo di dire) risolse il problema del pranzo a moltissimi operai. Tutto ciò avveniva prima della nascita delle mense, prima dell'apertura dei take away, quando un'Italia affamata di lavoro per poter mangiare si infilava in tasca il cibo cucinato la sera prima dalla moglie. Il problema era come conservarlo fino all'ora di pranzo e poi come riscaldarlo. La schiscetta inventata da Renato Caimi era costituita da due pentolini a chiusura ermetica, poco ingombranti ma a prova di perdite di sughi. Così si poteva portare in trasferta primo e secondo, oppure bistecca e contorno, riscaldandoli su un fornellino portatile. Tuttavia, come dicevo, questa è un'invenzione del millennio precedente, cui ne sono seguite altre, tipo ad esempio il portacenere a stelo dove premendo un bottone la cenere scompariva e non rimaneva in bella vista. Brevetti che sono esposti nelle mostre di design e hanno fatto scuola. Nel tempo, quando operai e fumatori sono divenuti come i Panda, cioè in via d'estinzione, e giunta alla seconda generazione, l'azienda si è specializzata in mobili per ufficio e in sistemi di sedute per locali pubblici (aeroporti, auditorium, sale d'aspetto...). Ma per quanto le sedie, i tavoli e le librerie siano bellissimi oggetti di design pensati da architetti di fama internazionale, anche i mobili Caimi soffrono la crisi. Niente di drammatico, intendiamoci, però tutto si vende con più fatica in quanto imprese ed enti locali hanno meno soldi da investire. E proprio quando il mercato rallenta, ecco spuntare quasi per magia un prodotto messo a punto dai fratelli Caimi (a Renato si sono affiancati quattro eredi, tutti maschi). Un pannello fonoassorbente che ha la capacità di abbattere in modo mai sentito prima il rumore. Il sistema è studiato da esperti e ingegneri, ma soprattutto è adottato da banche e aziende che intendono eliminare il brusio di grandi locali e open space. Non solo: il pannello piace anche all'industria musicale, che pensa di usarlo negli studi di registrazione. Risultato: alla recente fiera dell'elettronica di Las Vegas, tempio dove Apple, Samsung e le grandi imprese del settore presentano i marchingegni del futuro, alla Caimi brevetti viene assegnato il premio per l'innovazione. Insomma, in tempi di crisi, partendo dai pizzi per il corredo da sposa o dalla «schiscetta» per gli operai - cioè da due produzioni che più tradizionali di così non si può - è possibile andare lontano. Naturalmente io non ho pretesa di usare Cruciani e Caimi a fini statistici. Ma se fra i miei amici più cari c'è chi cambia verso per davvero, perché la politica continua a parlare di cambiamento ma non riesce mai a farlo? Colpa nostra o colpa loro? Giudicate voi. Per quel che ci riguarda da ora in poi pubblicheremo a puntate la storia di chi alla crisi non si arrende, ma offre buoni spunti all'Italia per scommettere sul proprio futuro. Senza aspettare alcun Jobs Act. PS. Oltre che legge, in inglese Act può voler dire anche finzione e messinscena. Maurizio Belpietro    

Dai blog