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Alitalia, via indennità e privilegi

Per le nozze con Etihad l'ad Del Torchio deve cancellare tutti i bonus: dal «tempo tuta» per gli addetti di pista al minimo garantito concesso a piloti e personale viaggiante. Oltre ai 3000 esuberi da tagliare per sempre

Matteo Legnani
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AliTaglia in salsa emira. Più passano i giorni e più diventano onerose le richieste di Etihad, la compagnia di Abu Dhabi, che potrebbe mangiarsi in un boccone (non fosse che per le regole di Bruxelles), tutto il trasporto aereo europeo. Un affaruccio da pochi spiccioli che però mette in fibrillazione il governo (l'eventuale partecipazione non supera il mezzo miliardo di euro), per l'aspetto elettorale (fine maggio le Europee) e strategico (gli asset intangibili che il governo vorrebbe tutelare). Condizionale d'obbligo, visto che l'attuale Alitalia è, o meglio sarebbe, un'azienda privata. Privata sì, ma strategica per il nostro Paese. E invece tra Palazzo Chigi e il ministero dell'Infrastrutture giocano la partita come se con il discutibile 7% in mano a Poste italiane, l'esecutivo possa condizionare la vicenda. L'intervento del governo, al momento, è limitato ad un assegno di 24 milioni di euro staccato a febbraio da via Veneto (con Flavio Zanonato ministro), per garantire il salario accessorio e i contributi maggiorati del personale viaggiante. Ma per proferire parola l'investimento (ammortizzatori, deroghe e cig per i 2.200 a rischio taglio) dovrà essere ben più consistente. Eppure - un po' tirati per la giacca dai sindacati - né Renzi né Lupi possono sottovalutare la trattativa. Anche perché tra le famose richieste di Etihad, quelle relative ai tagli sul costo del lavoro, rappresenta poca cosa, se non la formale deforestazione delle migliorie stratificate nei decenni per il personale di Alitalia. Negli incontri tra l'amministratore delegato Gabriele del Torchio è saltato fuori che il Piano industriale presentato a febbraio non basta. Ora del Torchio (che venerdì incontrerà le banche creditrici: Intesa SanPaolo, Unicredit, Monte Paschi di Siena e Banca Popolare di Sondrio), vorrebbe aggredire le buste paga. È stato infatti riproposto un contributo di solidarietà per le retribuzioni sopra i 40mila euro, quelle dei dirigenti e del personale navigante. Cai-Alitalia - per finire tra le braccia del facoltoso promesso sposo arabo - deve dimostrare di essere una “moglie” parsimoniosa. Fuor di metafora: del Torchio ha chiesto di limare di altri 48 milioni il costo del lavoro (per arrivare ai 128 milioni complessivi). Tagli che ora bisognerà discutere con le diverse categorie: il 2 maggio con i delegati del personale navigante, il 6 maggio con gli addetti di terra. Per il personale di terra il taglio dovrebbe essere del 5/7%, poi, grazie ad un meccanismo progressivo, che arriverà al 20%, si aggrediranno gli stipendi intorno ai 150/200mila euro. E ancora: per presentarsi sabato da James Hogan (ceo di Etihad), si vorrebbero rivedere le clausole sul “minimo garantito”. Nella transizione da Alitalia a Cai (2008), era stato stabilito che i futuri contratti non potessero essere inferiori del 93% del vecchio emolumento. Altro intervento per aggredire e congelare gli scatti di anzianità e le indennità sulle ore volate e la fruizione dei giorni di riposo in bassa stagione. Verrebbe cancellato anche il “tempo tuta”: gli addetti di pista potrebbero presentarsi al lavoro già vestiti, senza più calcolare la vestizione nell'orario effettivo di lavoro. Gli emiri della stirpe Al Nahyan - che con i propri fondi sovrani hanno una potenza di fuoco finanziaria di centinaia di miliardi di dollari - sono solitamente oculati negli investimenti. Al contrario degli spendaccioni “cugini” di Dubai, prediligono piani a lungo termine e senza rischi. Per salvare dal disastro immobiliare l'emirato “fratello” (che dista appena 140 chilometri di autostrada), hanno atteso la mezzanotte del giorno della scadenza delle linee di credito. E poi staccato un assegno monstre da 100 miliardi. Il precedente dovrebbe far riflettere alla Magliana e a Palazzo Chigi. Non sono spendaccioni i signori di Abu Dhabi, hanno consulenti che arrivano dalla City, dalla Norvegia, dall'Australia e dal Canada. Tutti Paesi che gestiscono con oculatezza le materie prime. L'emiro regnante di Abu Dhabi - Mohammed Bin Zayed Al Nahyan - ha fatto studiare, al momento del suo insediamento (2008), lo sviluppo del suo “Paese” per i prossimi 30 anni. Un piano ambiziosamente denominato «The Vision». E dentro questo librone (l'edizione pubblica è di oltre 200 pagine), la parte dedicata allo sviluppo delle infrastutture turistiche e ai flussi passeggeri è illuminante per capire che l'unico asset che Cai e governo possono rivendicare nella trattativa (sabato Del Torchio sbarcherà a Abu Dhabi probabilmente per firmare sabato un gentlemen agreement preliminare). di Antonio Castro

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