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Governo, una stangata da 51 miliardi in arrivo

Nicoletta Orlandi Posti
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L'Italia potrebbe essere bocciata ancor prima di presentarsi agli esami. L'ipotesi, non troppo peregrina, sta circolando negli ambienti di Bruxelles, dove si fa notare che la Commissione, «in caso di seria violazione degli obblighi di bilancio», potrebbe chiedere una nuova bozza del Def appena varato dal Cdm. Il potere in capo all'esecutivo Ue finora non è mai stato esercitato. Ma c'è sempre una prima volta. E la tensione provocata da Parigi non aiuta di certo. Se il governo francese ha chiesto uno slittamento del vincolo del 3% al 2017, non meno difficili da digerire sono le istanze di Palazzo Chigi. Nella nota di aggiornamento del Def, infatti, invocando gli «eventi eccezionali» dovuti ad una «recessione profonda e persistente» che ha «lasciato danni strutturali», il governo ha fatto slittare di un ulteriore anno, al 2017, il pareggio di bilancio inizialmente fissato al 2015. L'operazione di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan permetterebbe di tirare fuori dal cilindro 11,5 miliardi (la differenza tra il 2,2% di deficit stimato ad aprile per il 2015 e il 2,9% ora previsto dal Def). Soldi che il governo, si legge nel documento pubblicato ieri sera, utilizzerà per «finanziare impegni di spesa nei settori più rilevanti per la crescita economica e ridurre la pressione fiscale per imprese e famiglie». Rassicurazioni all'Ue - Una promessa smentita nero su bianco nello stesso documento, dove, per tranquillizzare l'Europa, si spiega che nella legge di stabilità 2015 è ipotizzata una clausola di salvaguardia sulle aliquote Iva e sulle altre imposte indirette che vale 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 nel 2017 e 21,4 nel 2018. La giustificazione anti-austerity contenuta nel Def, numeri alla mano, è che per rispettare l'avvicinamento al pareggio sarebbero necessari tagli di spesa per circa 16 miliardi (0,9% del pil) e per rispettare anche la regola del debito la sforbiciata salirebbe a circa 34 miliardi (2,2%), con un impatto negativo su crescita ed investimenti che farebbe restare il Paese in recessione fino al 2016. E senza una «ripresa robusta», scrive Padoan, «la tenuta del tessuto produttivo e sociale risulterebbe a rischio, la ricchezza delle famiglie minacciata, le prospettive dei giovani compromesse». Disobbedire? - Il problema, però, è che l'Italia resterebbe affogata in quegli «squilibri macroeconomici eccessivi» che prima dell'estate hanno spinto la Commissione a mettere l'Italia sul banco degli imputati. Ora, non solo non si dà seguito agli avvertimenti della Ue sulla necessità di «sforzi aggiuntivi», ma addirittura si va in direzione opposta chiedendo ulteriore tempo. Per giunta utilizzando l'indebitamento e non i tagli per favorire la ripresa. La legge di stabilità, avverte infatti il ministro dell'Economia, «conterrà interventi strutturali per lo sviluppo che saranno solo parzialmente finanziati da riduzioni di spesa». L'appiglio politico di Padoan per disobbedire a Bruxelles è che «negli ultimi anni, a fronte di dati economici deludenti, tanto i governi quanto gli organismi internazionali hanno ripetutamente peccato di ottimismo e sono stati poi costretti a posticipare le previsioni di ripresa per l'Italia e per l'area dell'euro». Quello formale è che l'Italia, oltre a trovarsi in presenza di un evento eccezionale che ha provocato un crollo del pil più devastante di quello che si è verificato durante la grande depressione del '29, intende avvalersi della «flessibilità concessa dalla legislazione nazionale e dai regolamenti europei per attuare un ambizioso pacchetti di interventi strutturali». Interventi che avrebbero un effetto sul pil dello 0,4% nel 2014, del 3,4% nel 2020 e addirittura dell'8,1% nel lungo periodo. Quando probabilmente saremo tutti morti. Incontro al vertice - Una debole sponda al messaggio di Padoan è arrivata da Mario Draghi, che ieri sera, in vista del board della Bce di oggi a Napoli, ha incontrato il presidente Giorgio Napolitano. «Le riforme strutturali sono essenziali per sostenere le politiche fiscali», ha spiegato il presidente dell'Eurotower, e il patto di stabilità «contiene già la flessibilità necessaria».  Bruxelles, alla fine, potrebbe decidere di concedere le attenuanti, ma per ora regna il gelo. Al di là della Merkel, che ha invitato tutti a «fare i compiti» perché la«crisi non è finita», gli annunci francesi e italiani hanno ricevuto la secca replica del commissario agli Affari monetari, il quale ha ricordato che «la posizione di Bruxelles è che le raccomandazioni specifiche per paese vanno rispettate» e che i giudizi saranno formulati proprio sulla base del «rispetto degli impegni». Il problema è che agli Affari economici fino a novembre ci sarà il «rigorista» finlandese Jyrky Katainen, che prima di lasciare il posto al francese Pierre Moscovici (anche dopo avrà un ruolo da supervisore) avrà tutto il tempo, considerata la scadenza della legge di stabilità del 15 ottobre, per costringere il governo a riscrivere la manovra senza quel regalo da 11,5 miliardi. A quel punto, malgrado l'aiutino dei 5,9 miliardi di risparmi sul debito dovuti allo spread in calo, sarà difficile per il governo trovare i 20-22 miliardi previsti dalla manovra. Per il calo della pressione fiscale servono circa 10 miliardi, 1 per l'allentamento del patto di stabilità interno, 1 per la scuola, 1,5 per i nuovi ammortizzatori sociali. Ci sono poi da coprire le spese indifferibili (tra i 4 e i 5 miliardi) e 3 miliardi per evitare il taglio lineare degli sconti fiscali, eredità del governo Letta. di Sandro Iacometti twitter@sandroiacometti

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