Crauti amari

Lira, Soros e oggi Eurobond: così la Germania ha sempre fatto guerra all'Italia

Fausto Carioti

I tedeschi la chiamano «drang nach dem absoluten», spinta verso l' assoluto. Nessun altro popolo ha un' espressione simile: indica la propensione a portare ogni idea sino al limite ultimo, a costo di generare catastrofi. Tutto fa credere che questo sia uno di quei momenti, quelli in cui a Berlino sentono «il respiro della Storia», per dirla con Joseph Goebbels, e decidono di ridisegnare l' Europa come vogliono. Con i soldi anziché con i cingolati, ma schiacciando comunque chi ha la sventura di trovarsi tra loro e l' obiettivo.
Anche l' ultima volta toccò a noi italiani pagare il conto.

 

Era il 1992 e la Germania dell' est era stata appena annessa a quella dell' ovest. Il cancelliere Helmut Kohl era chiamato a decidere il cambio del marco "comunista" con quello occidentale. I valori di mercato dicevano che il secondo valeva quattro volte il primo. Scavalcando la Bundesbank, la banca centrale, Kohl impose invece il rapporto di 1 a 1. Una scelta dettata dalla volontà di compiacere gli "ossi", i tedeschi orientali, che sparse però il terrore tra banchieri ed economisti. Perché comportava un accrescimento abnorme della massa monetaria, cioè del rischio d' inflazione, la cosa che i tedeschi temono più al mondo dai tempi della repubblica di Weimar.
Per scongiurare questo pericolo la Bundesbank alzò i tassi d' interesse, portandoli ai massimi nell' estate del 1992, senza preoccuparsi di chi sarebbe rimasto travolto. I tassi della Banca d' Italia seguivano giocoforza quelli tedeschi e così salirono gli interessi sui nostri titoli di Stato.

La debolezza dell' economia fece il resto. Il debito pubblico italiano balzò così dal 95% del Pil, nel 1990, al 116% del 1993. I capitali affluirono verso la Germania, le altre valute finirono nel tritacarne. «Fu l' inferno», ricordano gli economisti Filippo Mazzotti e Gianfranco Polillo nel libro "Popolo ed élite", appena uscito per Marsilio. «Non solo la svalutazione della lira e della sterlina, anche a causa dei movimenti speculativi innescati dalle decisioni della Bundesbank, ma una vera e propria pandemia che si scatenò anche negli altri Paesi e richiese l' utilizzo di strumenti d' emergenza. La lira perse in pochi giorni il 30% del suo valore, dopo un inutile quanto costoso tentativo di difesa. Che portò quasi all' esaurimento delle riserve accumulate».

La medaglia a Theo Waigel - Erano state le autorità tedesche ad indicare allo speculatore ungherese George Soros il bersaglio da colpire. È stato lui stesso a raccontarlo: «Il presidente della Bundesbank, Schlesinger, tenne un discorso durante un incontro molto importante e ristretto cui partecipai. Egli disse che gli investitori avrebbero commesso un errore nel ritenere che l' Ecu», la valuta virtuale della Comunità europea, «fosse un' unità monetaria omogenea. Si riferiva, in particolar modo, alla valuta italiana: la lira, infatti, non era particolarmente forte. Capii immediatamente cosa voleva dirmi. Era un incoraggiamento a vendere la lira italiana, che infatti venne forzatamente esclusa dallo Sme». Nella relazione annuale della Banca d' Italia dell' anno seguente, sorta di bollettino di guerra, si legge che «la violenza della crisi» aveva richiesto, solo nel mese di settembre, «l' utilizzo sul mercato di riserve ufficiali per 29.900 miliardi».

Divisi sul resto, governo tedesco e Bundesbank si erano trovati d' accordo nello scaricare i costi della riunificazione monetaria sugli italiani, malgrado gli accordi europei obbligassero la Germania a una difesa illimitata dei cambi fissi. Proteggere ulteriormente la lira «non sarebbe stato sensato», spiegò il ministro delle Finanze Theo Waigel a svalutazione della lira avvenuta. Nel gennaio del 2004 lo stesso Waigel sarebbe stato nominato dal capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, governatore di Bankitalia al tempo della crisi, «Cavaliere di Gran Croce dell' Ordine al merito della repubblica italiana». Titolo che si concede per «ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione».