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Coronavirus, le conseguenze economiche e finanziarie. Emanuele Salamone: "Così cambierà il mondo del lavoro"

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Dopo aver ultimato gli studi economici Emanuele Salamone si è specializzato in gestione aziendale e finanza. Le attività di “advocacy” (versione finalmente accettata anche in Italia invece dell’obsoleto termine “lobby”) meglio descrivono la sua specializzazione. Infatti si occupa prevalentemente di public & government affairs, relazioni istituzionali, marketing politico. 

Malgrado le profonde divisioni, tutti i leader europei condividono la preoccupazione che si stia rischiando una crisi economica senza precedenti. I provvedimenti del governo italiano le sembrano nella direzione giusta per contrastarla? 
"Sì, questo è un tema fondamentale. L’impegno che l’Italia si è assunta avendo ricevuto il Recovery Fund, è di usare queste somme nel modo migliore. E’ stata una manovra senza precedenti, non era mai stata concessa una somma così consistente. Per l’Italia le priorità erano chiare e in effetti i risultati ci hanno dato ragione: si trattava di evitare di stravolgere i meccanismi di controllo consentendo a singoli Paesi di apporre il veto allo stanziamento di fondi; salvaguardare l’ammontare complessivo del Recovery Fund mantenendo la più alta percentuale possibile di contributi a fondo perduto e distribuzione dei fondi in tempi rapidi. Ma allo stesso tempo Bruxelles e gli Stati scettici stanno a guardare come impiegheremo quelle risorse e quali riforme strutturali riusciremo a fare. Inutile sottolineare che il nodo centrale sarà nel trasformare quegli impieghi in quelle riforme basilari che stravolgano in meglio l’economia". 
Intende dire che il governo dovrebbe impegnarsi di più nel sostenere le imprese italiane? 
"Come sa, rappresento diverse aziende, ed i loro interessi, e trovo di capitale importanza il coinvolgimento delle stesse nel processo di questa nuova rivoluzione economica. Questo è lo scopo precipuo della mia funzione di “advocacy” sia presso i politici italiani, sia con regolarità presso la Commissione Europea a Bruxelles. L’Italia è un paese che ha enormi potenzialità, ma che purtroppo si perde in un oceano di norme senza pensare alle grandi leggi strutturali: per questo è necessaria una deburocratizzazione dell’intero sistema. Per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi resisi disponibili, non sono molto d’accordo sul fatto che lo sviluppo del Mezzogiorno debba costituire una priorità, come ha annunciato il governo. Giusto in generale sviluppare le potenzialità del Sud, riducendo il divario con il Nord, ma questi fondi dovrebbero anzitutto essere usati in tutta Europa per aiutare le zone più colpite dal coronavirus: in Italia sono state quelle del Nord. Semmai il problema è di più ampia portata. Lo Stato nei confronti del Mezzogiorno ha adottato sempre delle politiche assistenzialistiche che si sono rivelate sterili e non funzionali. Oggi perseguire lo stesso modello sarebbe deleterio: bisognerebbe invece ridisegnare un piano strategico che preveda di supportare il Sud con opere reali per renderlo competitivo. Intendo dire potenziamento e talvolta creazione di infrastrutture, il digitale, l’alta velocità e così via. Soltanto rendendo performante un territorio possiamo augurarci che quel gap possa ridursi".
Che insegnamento possiamo trarre dai mesi di confinamento cui gli italiani hanno dovuto adeguarsi? 
"Sì, non parliamo solo di fondi da investire, ma anche di rinnovamento nel modo di superare le difficoltà e di affrontare i mercati. Di recente Il Sole 24 Ore ha riportato un osservatorio di EY sullo Smart Working dal quale si evince che le performance delle aziende sono aumentate e l’efficienza dei dipendenti è uguale a quella prodotta all’Interno gli uffici. Una notizia che certamente cambierà la futura impostazione del lavoro.   
Anche il potenziamento dello smart working sta assumendo un ruolo determinante. Lei che ha contatti frequenti con la Commissione Europea, come vede affrontare questo tema all’estero? 
"Non solo in Europa, ma in tutto il mondo il fenomeno è oggetto di studi approfonditi da qualche mese. C’è una società americana, quotata al Nasdaq, che ha diffuso proprio in questi giorni i risultati di un altro studio mirato a comprendere come i dipendenti di aziende di varie dimensioni abbiano vissuto il lavoro da casa. Questo “Osservatorio per lo Smart Working”creato da Stantec dimostra che lo smart working conviene a tutti, fino a misurare quanto tempo, denaro e distanza in km ogni lavoratore risparmia se decide di lavorare in un luogo diverso dall’ufficio".
Tornando agli aspetti economico-finanziari, che cosa pensa della piega politica che ha preso la valutazione della convenienza del Mes per l’Italia? 
"Il Mes, con la sua enorme dote senza pari, sta creando non poche polemiche per via della preoccupazione sempre più dilagante di una assoluta mancanza di strategia di breve e medio termine e senza che la stessa sia stata condivisa con le aziende ed i settori su cui ricadrà. Se da una parte il decreto stabilità ha prolungato la cassa integrazione con la “parziale” salvaguardia dei lavoratori per qualche mese, dall’altra le aziende mostrano il loro disappunto per una manovra, quest’ultima, che limita enormemente una sana ristrutturazione interna con un efficientamento delle operazioni e un progressivo ammodernamento al nuovo stato acquisito. Fatta salva la priorità del sistema sanitario italiano, dove abbiamo strutture d’eccellenza che vanno tutelate e supportate anche attraverso gli interventi privati delle varie big company, oggi più che mai c’è la necessità di impostare attentamente una visione strategica dell’allocazione delle risorse per salvaguardare l’economia reale, per creare opportunità di sviluppo e di tutela del lavoro. C’è bisogno di efficientamento dei processi produttivi delle aziende e renderli competitivi nel mercato estero. Come dicevamo prima, c’è bisogno di una sostanziale riforma del mercato del lavoro che comprenda e non ignori la possibilità dello Smart Working, delle performance aziendali e delle tutele che ne derivano". 
Operativamente, che cosa suggerirebbe di fare? 
"Per il mio lavoro di “advocacy” seguo numerose aziende e associazioni private a Milano, che sono in prima linea nel servizio alla comunità con attività civiche che coinvolgono le istituzioni, i fondi europei per la sanità, l’ottimizzazione del Mes. Si tratta di eccellenze da portare avanti, big company del settore farmaceutico e altro, per le quali un’attività di lobbying europeo è indispensabile. Tutte queste realtà concordano sul più importante provvedimento da varare, per la buona politica a servizio delle imprese: la costituzione di una commissione permanente in Italia, con un tavolo di confronto sulle tematiche attuali". 
In termini squisitamente finanziari, come interpreta il momento? 
"Faccio mie le parole del presidente di Azimut, Pietro Giuliani “Per quanto i mercati siano drogati dall’eccesso di liquidità, l’economia reale è in grave difficoltà e gli utili societari potrebbero avere seri contraccolpi… Se si vogliono ottenere rendimenti significativi e non solo lo zero virgola bisogna puntare sugli attivi meno liquidi, come il private equity”.

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