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Lockdown produttivo, l'incubo è quasi realtà: non solo gas, ecco perché l'Italia rischia la rovina

Franco Vergnano
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A subire le conseguenze della guerra scatenata da Putin con l'invasione dell'Ucraina non sono solo le famiglie che pagheranno un conto di 2mila euro ciascuna, in media (come ha documentato ieri Libero). A essere messo alle corde è l'intero sistema produttivo del made in Italy.

 

Per il Fmi sono oltre 140 i Paesi che vedono la crescita bloccata, con un calo del nostro export. E noi - se dovessimo rimanere a corto di gas - ci avvicineremmo ad un nuovo, pericoloso, lockdown produttivo. Il problema si pone mano a mano che la guerra, con buona pace del novello zar Putin, da blitzkrieg diventa di "lunga durata". Con conseguenze e tempi diversi per l'Europa e per l'Italia, vaso di coccio (specie dal punto di vista energetico) tra quelli di ferro, essendo una economia di trasformazione.

Le conseguenze economiche della guerra sono parecchie. Accanto alle più eclatanti (i moscoviti fanno razzia di zucchero nei supermercati, a Kiev mancano medicinali e beni di prima necessità, in Europa c'è l'impennata dei prezzi della benzina e delle bollette che alimentano l'inflazione e frenano la ripresa) le cose si muovono sotto traccia.

Le ostilità ridisegnano la mappa geo-produttiva europea, presentando un crescente rischio di lockdown manifatturiero, in particolare nei settori energivori come carta, siderurgia, vetro, ceramica, trasporti, costruzioni, chimica: a lanciare l'allarme, e con sempre maggior preoccupazione, soprattutto le aziende di un'area chiave industriale per il nostro Paese, il Nord-Est. I traffici marittimi con Odessa (scalo critico per l'import italiano di cereali, animali, ghisa, ferro e acciaio, grassi e oli vegetali) sono interrotti, con navi ferme o addirittura bombardate. Dalla Russia arrivano invece enormi quantità di gas metano, petrolio, macchine e apparecchi meccanici o elettronici.

 

La pandemia, però, doppiata dall'aggressione di Putin all'Ucraina, sta cambiando il volto della globalizzazione, che tende a diventare sempre più "glocal". Le filiere produttive si riorganizzano, dal momento che anche in economia i vuoti si riempiono subito (o quasi, dopo un periodo più o meno lungo di volatilità).
Dalla guerra derivano però anche altre conseguenze. Insomma, il conflitto in un'area circoscritta dell'Europa presenta impatti in tutto il mondo. Alcuni, e si scusi il cinismo dell'analisi, marginali: l'Electrolux dirotta in Italia le produzioni di elettrodomestici degli stabilimenti ucraini e polacchi (anche se rimane sempre la spada di Damocle dello shortage sui chip dall'Asia...), mentre Trieste vede crescere il traffico container per il blocco di Odessa e aumenta anche i business marittimi con la Turchia. Altri effetti sono però devastanti. 

La guerra in terra ucraina ha mandato in default lo Sri Lanka dando il colpo di grazia a un Paese che di democratico ha assai poco, essendo guidato (è ormai un ventennio) dalla famiglia-dinastia di Gotabaya Rajapaksa, con l'attuale presidente attaccato dalla piazza che chiede le sue dimissioni. L'invasione dell'Ucraina mette sotto pressione anche l'agricoltura veneta. Per l'Italia, che importa il 64% del frumento tenero (pane e dolci) e il 44% del grano duro (pasta), comincia a essere un aspetto critico. Mosca infatti ha deciso di imporre il divieto all'esportazione di nitrato di ammonio, prodotto fondamentale per la concimazione del grano e per le semine di mais (da aprile) e di soia (da maggio). Il grano, si sa, si semina in autunno e si miete in estate: adesso è tempo di concimazioni e serve quanto mai l'ammoniaca (di cui Kiev è il principale produttore europeo). Ecco quindi che il combinato disposto di questi elementi mette in difficoltà l'intero ciclo produttivo dell'Europa, specie quella del Sud. La storia ha già condannato il satrapo Putin, anche se lui sta dalla parte giusta del gasdotto. A noi rimane di continuare a stringere i denti.

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