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Gas, chi incassa 80 miliardi: lo scandalo che può far saltare la Ue

Claudia Osmetti
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In Norvegia il freddo è meno freddo che qui. O almeno lo sarà il prossimo inverno, ché noi già ci prepariamo ad abbassare di qualche grado i caloriferi di casa, tra bollette rincarate che sono un salasso e una crisi energetica senza precedenti, ma loro, a Oslo, a Bergen o a Stavanger, le mani se le sfregano in un altro senso. I norvegesi, infatti, sono sulla buona strada per registrate un'esportazione record di gas nei mesi a venire: è che c'è anche chi ci guadagna dalle conseguenze della guerra in Ucraina. Le sanzioni contro Mosca, lo stop al Nord Stream, il prezzo del gas ad Amsterdam che oscilla e va sempre più su, modello razzo lunare: ma per quei Paesi che lo estraggono, che lo producono, è tutta un'altra storia. A sentire Frode Leversund, che è l'ad della Gassco, società statale norvegese che gestisce qualcosa come 7.800 km di tubazioni e, in tempi normali, cioè in tempi "di magra", ne riesce a trasportare cento miliardi di metri cubi verso l'Europa, sarà un autunno eccezionale. E pure qualcosa di più perché «la Norvegia è pronta a garantire ingenti quantità di gas anche nei prossimi anni». A chi? A noi. Ai cittadini, alle imprese, alle ditte del Vecchio continente che una volta detto addio (più o meno a ragione) ai rubinetti del Cremlino, un modo per riempire i condotti lo devono trovare.

 

 


DOVE LO PORTANO
La Refinitiv Eikon, azienda che monitora e analizza le informazioni finanziarie, stima che la Norvegia sia già diventata il maggior fornitore di gas d'Europa, superando l'indotto russo persino prima della chiusura del gasdotto Nord Stream 1 di una settimana fa. E fanno affari d'oro, col pandemonio ucraino, alla Gassco: «Quest' estate», chiarisce Leversund, «abbiamo consegnato ciò che di solito consegniamo nei mesi invernali». In numeri, vuol dire che le forniture di gas norvegese, e solo nel 2022, sono già aumentate dell'equivalente di 60 terawattora, 4,97 miliardi (miliardi) di metri cubi. Soldi sonanti. Gran Bretagna, Germania, Belgio e Francia: ecco dove arrivano, fisicamente, i condotti della Gassco. Tra qualche giorno, poi, scatterà la manutenzione programmata che ridurrà inevitabilmente la loro capacità, ma niente paura (dice ancora Leversund): il sistema «sarà pronto» per affrontare l'inverno entro il primo ottobre.

 

 


Chiariamoci, le sanzioni a Putin sono sacrosante e lo sono su diversi piani: anzitutto perché è inaccettabile che un Paese ne invada un altro e non subisca conseguenze, poi perché alle bombe è meglio rispondere con misure economiche (che funzionano, mica vero non hanno effetti), quantomeno nell'ottica di evitare un conflitto planetario. Però, e in un certo senso è persino inevitabile, a cambiare gli equilibri energetici finisce che qualcuno ci rimette e qualcuno che ne trae profitto. La Equinor è un'altra azienda statale norvegese: fino a qualche anno fa si chiamava Statoil e si occupa di petrolio: il copione è lo stesso che per la Gassco.


CHE MARGINI
Il margine operativo della Equinor, cioè, nella prima metà del 2022, è ammontato a 36,125 milioni (sempre milioni) di dollari, era circa un terzo (10,5 milioni) nello stesso periodo dell'anno scorso e le proiezioni degli esperti parlano di un possibile incasso extra di addirittura 80 miliardi entro dicembre. Tanto per dire. Come se non bastasse, Jonas Gahr Store, il premier del Paese nordico, è uno che non va per il sottile: ieri ha deciso che la compagnia statale carbonifera prolungherà la produzione nell'ultima miniera rimasta attiva, nell'arcipelago delle Svalbard, fino a metà 2025, con lo scopo di garantire le forniture ai produttori di acciaio europei durante la guerra. Doveva chiudere i battenti nel 2023, Store, nel piano di contenimento per le misure climatiche, ma il carbone norvegese sopravviverà ancora tre anni. Con buona pace degli ecologisti artici. 

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