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Auto, addio benzina e diesel? Quanti perderanno il lavoro

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Michele Zaccardi
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«Una decisione folle e sconcertante, contro le industrie e i lavoratori italiani ed europei, a tutto vantaggio delle imprese e degli interessi cinesi». Non ha usato mezzi termini il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, per commentare l’approvazione definitiva da parte del Parlamento Ue della messa al bando delle auto a diesel e benzina a partire dal 2035.

Parole in netto contrasto con l’incauto ottimismo professato invece dal vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, che si è detto «soddisfatto perché questo voto dà futuro alla nostra industria». Di sicuro, infatti, per ora c’è solo il fatto l’imposizione del passaggio all’auto elettrica comporterà la riconversione forzata di uno dei settori fondamentali della manifattura europea e italiana.

 

Con tutti i rischi che questo determina sui posti di lavoro e sulla competitività dell’economia del Vecchio Continente, in pesante ritardo nei confronti dei suoi concorrenti statunitensi e, soprattutto, cinesi. A calcolare l’impatto sul comparto è stato il Centro Studi Fleet & Mobility. Dei 12,8 milioni di occupati in Europa nell’automotive, la transizione ne metterà in bilico oltre 4 milioni. Stando a un’indagine di Uilm ed Està, in Italia, invece, i posti a rischio sarebbero invece tra i 110 e i 120mila. C’è poi da considerare che, al momento, l’industria europea non è competitiva a livello internazionale.

I dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) parlano chiaro: nel 2021, in Cina un’auto elettrica costava in media 27mila dollari, in Europa 48mila. Questo mentre i veicoli ibridi plug-in cinesi venivano venduti a 40mila dollari e quelli europei a 58mila. E l’Italia arranca. Ad oggi c’è soltanto una fabbrica attiva mentre due siti produttivi dedicati alla produzione di batterie sono in costruzione a Termoli e a Cassino. Stando a una recente analisi della società di consulenza Ernst & Young, tra il 2022 e il 2026, a fronte di una quota del 66% di veicoli elettrici che verranno lanciati sul mercato nazionale, soltanto il 18% sarà realizzato in Italia.

 

Ma non ci sono solo i ritardi nella rincorsa a produrre auto elettriche a destare preoccupazione. Un grosso problema riguarda anche tutta la filiera che sta a monte del processo e che concerne la produzione di batterie e il reperimento delle materie prime, come litio, cobalto e rame, necessarie a costruirle. Tutti materiali che l’Europa sarà costretta a importare, rendendosi dipendente dalla Cina, vero dominus del settore. «Le attuali catene di approvvigionamento per le risorse minerarie critiche, l'estrazione e la produzione di tecnologie energetiche pulite sono altamente concentrate geograficamente» si legge nell’Energy Technology Perspectives 2023 stilato dall’Agenzia internazionale dell’energia. «Per pannelli solari, eolici, batterie per veicoli elettrici, elettrolizzatori e pompe di calore, i tre maggiori paesi produttori rappresentano almeno il 70% della capacità produttiva per ciascuna tecnologia, con la Cina dominante in tutti. Per i minerali critici, la Repubblica Democratica del Congo produce oltre il 70% del cobalto mondiale, e solo tre paesi – Australia, Cile e Cina – rappresentano oltre il 90% della produzione mondiale di litio».

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