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Venezia, bar chiuso per 4 scontrini evasi in 5 anni: non è pizzo di Stato?

Sandro Iacometti
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«Pizzo di Stato»? Apriti cielo. Quando Giorgia Meloni si è permessa lo scorso giugno durante un comizio a Catania di definire così l’accanimento degli esattori sui piccoli commercianti si è scatenato il finimondo. Parole indegne, offesa vergognosa nei confronti delle istituzioni e delle vittime della mafia, insulto alla memoria di Libero Grassi, che proprio in quella città fu ucciso dalla criminalità organizzata per aver denunciato i suoi estorsori. Bene, critiche accolte. 

Cancelliamo la parola “pizzo”. Epperò toccherà trovare un’espressione adatta ed altrettanto efficace per spiegare quello che è successo alla gelateria Nico, alle Zattere, uno dei luoghi simbolo di Venezia, che si è inventato il bicchiere con la stecca di gianduia affogata nella panna montata, che proprio mentre la città lagunare è zeppa di gente attirata dai vip della mostra del cinema è stato costretto ad abbassare le saracinesche. Potrà riaprire oggi, a festa finita, dopo 4 giorni di sospensione della licenza disposta dalla Guardia di Finanza. Motivo? Mancata emissione di 4 scontrini. E già qui ci sarebbe da discutere. Possibile che per pochi euro non dichiarati un commerciante, oltre a pagare la giusta sanzione, sia costretto anche a perdere intere giornate di incasso in una fase di altissima stagione?

Non è finita. Eh no, perché l’intervento dell’Agenzia delle entrate non ha nulla a che fare con quei blitz che una decina di anni fa hanno occupato le cronache dei giornali. Ricordate? Era il 2012 e l’ex premier Mario Monti per mostrare il pugno duro contro gli evasori aveva deciso di mandare le Fiamme gialle nei luoghi di villeggiatura più conosciuti, da Cortina a Courmayer, per mettere alla gogna i furbetti dello scontrino. Massicci spiegamenti di forze, operazioni lampo, grande clamore mediatico e tante polemiche sulla reale utilità di questi interventi “spettacolari”.

Tutt’altra la situazione di Nico. Niente blitz ad effetto per solleticare un po’ di sempreverde invidia sociale e riprovazione contro i ricconi che se la spassano alla faccia dei poveracci (che magari manco loro chiedono la fattura all’idraulico). In questo caso gli ispettori del fisco hanno effettuato meticolosi controlli non per qualche settimana. E e neanche per qualche mese. Bensì per cinque anni. Avete capito bene, gli scontrini non emessi non riguardano il conto di una famigliola che si è comprata quattro coni, ma quattro transazioni separate nel corso di 60 (sessanta!) mesi. Praticamente il povero gelataio è stato punito per meno di un illecito all’anno.

QUALCOSA NON TORNA
Le regole sono regole, per carità. E le tasse si devono pagare. Detto questo, i conti non tornano. E non solo quelli che riguardano la proporzione delle sanzioni per piccole violazioni commesse da piccoli imprenditori. Sul totale di 106.238 verifiche eseguite nel 2022 dall’amministrazione finanziaria, ad esempio, solo 1.469 hanno avuto ad oggetto aziende di dimensioni rilevanti, appena 18 si riferiscono ad accertamenti di imposta superiori a 25 milioni di euro. Ben diversa è la situazione dei professionisti e delle partite Iva, che hanno subìto ben 18.328 controlli (il 17,3%) del totale), ma soprattutto delle piccole imprese a cui il fisco “amico” ha dedicato addirittura 75.930 ispezioni (il 71,5%). 

Qualcuno la chiama pesca a strascico, la Meloni ha parlato di caccia al gettito. La sostanza è che invece di andare ad aggredire l’evasore totale o la multinazionale che ha i conti alle Cayman e fior di scatole cinesi per coprire i fondi neri spesso il fisco preferisce lanciare la sua rete nel mucchio di piccoli contribuenti sperando che qualcosa resti impigliato. I risultati non sono un granché, visto che il tax gap (il nero) continua ad essere inchiodato da decenni tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, che nel contenzioso l’erario perde una volta su due e che anche quel poco che si rastrella con questi metodi poi non viene incassato. Come ha più volte ricordato il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, sui circa 70 miliardi di euro di ruoli emessi ogni anno se ne incassano più o meno 10. Risultato: ci sono oltre 1.100 miliardi di cartelle non riscosse dal 2000 ad oggi. Ecco, di fronte a questi numeri bisognerebbe trovare un’espressione che non sia irriverente, ma che ci spieghi cosa diavolo c’entri la chiusura della gelateria di Venezia con una seria ed efficace lotta all’evasione.

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