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Stellantis, grosso guaio a Mirafiori: arrivano i cinesi (e la sinistra festeggia)

Sandro Iacometti
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Problema risolto. Se la auto italiane, come la 600 e la Topolino, si faranno in Polonia e in Marocco, in Italia si faranno quelle cinesi. Può sembrare un po’ bizzarro, e forse neanche troppo in linea con gli argini che l’Europa intende (seppure con estrema lentezza) creare per contrastare la concorrenza sleale del Dragone, ma è questa l’idea allo studio di Stellantis per ridare benzina agli stabilimenti finiti nel mirino dell’ad Carlos Tavares per la loro scarsa capacità produttiva in assenza di adeguati sussidi pubblici. Nel dettaglio, il piano riguarderebbe Mirafiori, l’impianto storico (e più in sofferenza) della casa automobilistica. Secondo quanto riferisce Automotive News Europe, citando fonti vicine al dossier, il gruppo starebbe valutando la possibilità di produrre nello stabilimento torinese fino a 150 mila auto elettriche a basso prezzo all'anno, modelli realizzati sulla base della joint-venture con il gruppo cinese Leapmotor.

MOSSA STRATEGICA
La produzione, spiega la testata specializzata, potrebbe partire nel 2026 o nel 2027 e i modelli elettrici cinesi prodotti a Mirafiori verrebbero venduti dalla rete di concessionari europei di Stellantis. Lo scorso anno la società franco-italiana ha acquisito il 21% di Leapmotor per 1,6 miliardi di dollari: dall'intesa è nata anche una joint ventura con base, manco a dirlo, in Olanda detenuta al 51%. Solo la scorsa settimana Tavares, durante un incontro con la stampa in occasione dei risultati del 2023, non aveva escluso questa possibilità, «se ci fosse un'occasione di business». L'ad aveva sottolineato che Stellantis «ha fatto una mossa strategica» nella partnership con la società cinese e «se dovessimo avere l'opportunità, perché ha senso economico, di produrre auto Leapmotor in Italia lo faremo».

 

 



Mirafiori oggi produce modelli Maserati a basso volume, e terminerà la produzione del Levante a marzo. Quindi a sostenere i volumi produttivi dell’impianto è la Fiat 500 elettrica, di cui però nel 2023 sono state prodotte circa 80 mila vetture rispetto alle 100 mila previste di fronte a un mercato debole. Risultato: a marzo nel sito torinese parte la cassa integrazione con le linee della Maserati e della 500 elettrica che lavoreranno su un solo turno. Inevitabile, vista la situazione, l’accoglienza positiva della notizia da parte dei sindacati, che si sono tutti schierati a favore dell’ipotesi, chiedendo, anzi, al più presto conferme concrete del progetto e rassicurazioni sul futuro della fabbrica. D’altra parte, pur di non perdere il posto, prospettiva non così remota se si va avanti così, le tute blu di Mirafiori sarebbero, giustamente, disposte pure a costruire i caccia imperiali della Morte nera.

Un po’ meno comprensibile l’esultanza di Avs, che con una nota del vicecapogruppo alla Camera, Marco Grimaldi, considera l’eventualità «una buona cosa per l’Italia, vista l’assenza di altri piani industriali». Il deputato dovrebbe sapere bene, infatti, che la situazione che si è creata in Europa e in Italia è dovuta alle accelerazioni del green deal sullo stop ai motori endotermici. Una mossa che ora sta spaventando l’intero Continente, considerato che solo i cinesi riescono per ora a produrre auto elettriche a basso costo (avendo tra l’altro il quasi monopolio delle materie prima che servono a produrre le batterie e le componenti dei veicoli green) e che i produttori asiatici stanno già tessendo la loro tela per conquistare il mercato europeo. Dopo la fabbrica che il colosso Byd costruirà in Ungheria, Mirafiori potrebbe rappresentare l’altra porta di ingresso del Dragone nel Vecchio continente, in grado di aggirare eventuali dazi o misure antidumping che Bruxelles dovesse mettere in campo. Solo questo scenario, del resto, giustificherebbe la decisione di produrre le auto cinesi in Italia e non negli altri siti di Stellantis sparsi fuori dall’Europa. Dove peraltro il costo del lavoro è assai più basso e competitivo.

 

 

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