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Stellantis, la fuga degli Elkann ci dà in pasto ai cinesi

Sandro Iacometti
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Se non ci fossero in ballo delicati equilibri geopolitici, interessi strategici nazionali e continentali e posti di lavoro ci sarebbe quasi da ridere. La tensione sul traballante futuro dell’automotive in Italia (e in Europa) è talmente alta che sono bastate un paio di frasi sibilline pronunciate al Salone di Ginevra da Michael Shu, capo del colosso cinese Byd (quello che nell’ultimo trimestre dello scorso anno ha superato la Tesla per vendite di auto elettriche) a scatenare un pandemonio. State pensando di sbarcare in Italia? È stata più o meno la domanda di un giornalista di Bloomberg. «Abbiamo alcuni contatti per discuterne. Dipende dalle nostre vendite: ora stiamo facendo ottimi progressi», la risposta di Shu.

Immediata la reazione dei sindacati. Per Cgil e Uil pur di salvare le maestranze va bene tutto, anche i cinesi. Per la Cisl servirebbe un supplemento di riflessione, perché se l’operazione «serve solo per acquisire fette di mercato e se si usa la rete di fornitura esterna all'Europa avremmo solo contraccolpi negativi». Ma sulla dichiarazione interviene a stretto giro anche il ministro delle Imprese e del “made in Italy”, Adolfo Urso, che non smentisce affatto la suggestione provocata dalle parole del manager. «Abbiamo lavorato sin dall'inizio della legislatura per migliorare l'attrattività del Paese. Questo vale anche per il settore dell'automotive. Siamo l'unico Paese europeo che produce auto ad avere un unico produttore. Abbiamo contatti con diverse case automobilistiche», spiega dustri concorrenti continuano a solo qualche giorno fa la presidente Ursula von der Leyen ha lanciato l’allarme sull’invasione di auto cinesi in Europa. Ma la sensazione è che, a causa della concretezza e dell’imminenza della minaccia, invece di fare quadrato come suggerisce Draghi, ognuno si muova in ordine sparso. L’Ungheria si è già messa al riparo assicurandosi la fabbrica di auto e batterie di Byd, che può facilmente trasformarsi in un cavallo di Troia per l’intera Europa. Stellantis da una parte studia un’alleanza anti-cinese con Renault e Volkswagen, ma dall’altra dà la fabbrica di Mirafiori in pasto ai cinesi di Leapmotor in un’ottica di “si salvi chi può”.

 

E l’Italia? Sembra anch’essa un po’ in tilt come tutti. Spaventato dalle conseguenze di un disimpegno degli Elkann, il governo pare abbia bussato a tutti. Urso avrebbe avuto in questi mesi contatti con aziende coreane, giapponesi e americane, comprese Tesla e Toyota. Il problema è che nella foga di trovare un altro produttore si sarebbe rivolto anche a produttori cinesi come Byd e Chery. Come spiega saggiamente Roberto Di Maulo, della Fismic Confsal, «il Paese ha bisogno di politiche industriali, non di fare entrare i cinesi. I cavalli di Troia stanno bene nei libri di storia, l'Europa deve essere salvaguardata dall'ingresso dei cinesi».

Ora, va bene tentare di mettere al riparo la filiera produttiva e i posti di lavoro, va bene anche usare i contatti con altri produttori come uno spauracchio da sventolare nella trattativa con Stellantis al tavolo dell’automotive. Però delle due l’una: o si va a Bruxelles e si spiega che l’Italia non considera più la concorrenza cinese un problema, anche dal punto di vista geopolitico, oppure, come fanno da tempo gli Stati Uniti, si stabiliscono confini ben precisi per i rapporti industriali e commerciali con una superpotenza che non si fa problemi, come dice Draghi, a sfruttare le vulnerabilità dell’Europa e dell’intero Occidente.

 

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