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Influencer, finalmente si scopre il business: la verità sul loro giro d'affari

Gianluigi Paragone
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Da tempo mi domandavo se qualcuno avesse chiaro cosa stesse accadendo dentro quel segmento dei social denominato “influencer” e del giro di affari effettivamente generato oppure solo simulato per attrarre come nella fiera dei balocchi. Nella favola di Collodi infatti toccava all’omino di Burro caricare, col suo fare laido, creduloni e svogliati sul carro verso un mondo fatto di divertimenti, svago e zero pensieri. Era il mondo perfetto che Lucignolo sognava e che Pinocchio, di rimando, aveva creduto essere più “suo” rispetto alla fatica di bottega di Mastro Geppetto e ai predicozzi della Fatina o del Grillo parlante.

A infilarsi nei profili di alcuni campioni di questa o di quella piattaforma sembra davvero che fare una montagna di soldi sia facile come inventarsi un balletto idiota, ammiccare col corpo, sparare quattro fesserie e cose del genere. Non ho dubbi che alcuni di costoro, di soldi, ne abbiano fatti; anche se al netto delle spese sostenute per comprare seguaci o per spingere questo o quel post. All’inizio è così, poi - se hai una buona agenzia o un bel gruzzolo da mettere sul tavolo - le cose cominciano a girare e inizi a vedere i primi guadagni. 

Guadagni generati solamente dal fatto di “illuminare” il prodotto x o il prodotto y. I social sono la macchina pubblicitaria perfetta perché generano contenuti da vendere a un utente ben profilato. Non è una pubblicità che spara nel mucchio ma è la pubblicità di ciò che ti piace con certezza (magari lo hai cercato nel motore di ricerca o ti sei soffermato quando ti è entrato nel tuo profilo) o perché ti può piacere per affinità con altri prodotti della tua bolla. Siamo in presenza di un marketing predittivo.

Gli influencer servono a questo duplice scopo: creare una sottocomunità sempre più larga, profilarla al millimetro e poi “servirla” di quei prodotti che in un modo o in un altro comprerai (per lo più sulle piattaforme e-commerce) o consumerai quando sei nella vita reale. I capi branco sono diversi e c’è un vero e proprio interesse commerciale a crearne di nuovi: si fa credere di guadagnare tanti soldi per alimentare il vivaio e da lì puntare sui più bravi. 

 

Poi ci sono gli over the top, quelli che davvero muovono tanti soldi: sono pochi rispetto alla marea della platea. Non solo costoro sono bravi a monetizzare per sé ciò che devono pubblicizzare ma, in casi eclatanti, sono così potenti da creare la domanda e pure - in alcuni casi - l’incremento dei prezzi scatenando aste. Ci sono capi di abbigliamento o calzature che, da un momento con l’altro, diventano l’oggetto del desiderio perché il personaggio Tizio ha fatto una foto indossandola. Ma questo è solo una delle sfaccettature di un mondo pericolosamente artefatto nelle mani di pochi player. 

Torno così alla domanda di partenza: qualcuno stava capendo questo giro d’affari e gli ingranaggi del business? Con il caso Ferragni abbiamo solo iniziato a mettere il naso. Ieri, con le visite e le sanzioni della Guardia di finanza a Gianluca Vacchi, all’ex socio di Fedez, Luis Sal, e ad alcune “stelline” della piattaforma Only Fans, finalmente si comincia a capire il volume di guadagni generato dai social e che il fisco non vede. Spero che il giro continui perché siamo al primissimo livello e poi perché rompiamo quell’incantesimo per cui il Paese dei Balocchi conviene e fai i soldi indisturbato.

 

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