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Stellantis, il ricatto degli Elkann: chiedono altri soldi al governo

Sandro Iacometti
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I soldi messi sul tavolo dal governo non bastano. È questo, scremando l’incontro con governo e sindacati dedicato a Mirafiori da chiacchiere, annunci, promesse e dettagli tecnici, il succo della posizione ribadita ieri da Stellantis. Che non si tratta di una sintesi brutale e di parte fatta da Libero, ma della traduzione quasi letterale delle parole di Davide Mele, responsabile corporate affairs del gruppo in Italia. Intanto, ha esordito il manager per gettare subito un po’ di pepe nel confronto, «lo scorso primo febbraio, dopo un anno di gestazione, sono stati annunciati nuovi incentivi. Ma, ad oggi, 3 aprile, non abbiamo ancora certezza di quando questi provvedimenti saranno effettivamente operativi. E nel frattempo il mercato continua a perdere colpi, relegando l’Italia a fanalino di coda europeo nello sviluppo dell’elettrificazione».

ANTIPASTO
Ma è solo l’antipasto. Perché subito dopo Mele, ripetendo posizioni già espresse dal suo capo Carlo Tavares, ha ricordato che «rimangono da affrontare fattori esterni come il costo dell'energia, il costo del lavoro, gli strumenti di supporto agli investimenti ed al mercato, le attività per favorire la riconversione e la riqualificazione, e molte altre voci di competitività che Stellantis non ha, come ogni altro costruttore, la possibilità di influenzare da sola». Il che significa, come già si era capito, che l’azienda non potrà garantire gli investimenti in Italia né il fantomatico milione di auto prodotte in assenza di sostegni economici su tutti i fattori di produzione che rendano il gruppo competitivo a spese dei contribuenti. Altro che il miliardo di incentivi all’acquisto messo in campo dal governo.

 

 

Chiariti i termini reali della questione, si può tornare alla cronaca del vertice di ieri al Mimit, dove Mele ha assicurato che «lo stabilimento di Mirafiori è il cuore pulsante di Stellantis», mentre il ministro delle Imprese Adolfo Urso, i sindacati, il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo e l'Anfia chiedono per la fabbrica torinese un nuovo modello che compensi il calo delle vendite della 500 elettrica e delle Maserati e riduca la cassa integrazione. «È necessario che a Mirafiori si producano almeno 200 mila vetture», ha sentenziato Urso. Di nuovo modello Mele non ha parlato, ma a suo dire «la 500 elettrica raggiungerà target ambiziosi a Mirafiori, numeri a tre cifre», il che vuol dire quota 100.000 unità grazie agli incentivi che possono portare il 20% in più di produzione.
Quanto alle Maserati, ha spiegato, «stiamo lavorando per l'elettrificazione sulla piattaforma Folgore dei nuovi modelli da produrre: oltre alla Gran Cabrio entro giugno la nuova Quattroporte». Il manager ha poi ricordato che Leapmotor, la start up cinese con cui Stellantis ha chiuso un'intesa lo scorso autunno, non ha ancora deciso nulla sulle produzioni da fare in Europa (nelle scorse settimane si è parlato di Mirafiori e della Polonia).

 

 

NIENTE RISPOSTE
Tutto chiaro? Non proprio. I sindacati sono usciti alquanto insoddisfatti. In una escalation di giudizi, il tavolo è stato giudicato «interlocutorio» dalla Uilm, «insufficiente» dalla Fim, «imbarazzante» dalla Fiom. Tutte e tre le sigle concordano su un punto: non sono arrivate risposte. E tutte e tre ribadiscono la necessità di un nuovo modello produttivo di largo consumo (possibilmente ibrida), da aggiungere alla 500 elettrica e alle due Maserati, per saturare l'impianto e sostenere l'occupazione del sito piemontese. «Senza risposte concrete non vediamo come si possa cogliere l'obiettivo di 1 milione di autovetture a livello nazionale», evidenziano infine le tute blu. Ed è obiettivamente difficile dare loro torto

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